Il silenzio

Francesco Moisés BassanoRoberto Benigni conclude eccellentemente il commento del quarto precetto del decalogo sullo Shabbat, con un invito a coltivare il silenzio: “D-o sta nei frammenti del silenzio […] Il senso del tutto è nel silenzio. […] – oggi –  siamo tutti sempre connessi con tutto il mondo, ma disconnessi con noi stessi.”. Un silenzio che è scintilla del riposo di D-o dopo la creazione, e al tempo stesso un silenzio che dovrebbe riempire lo shabbat, perché anteprima del mondo messianico, quel “Sabato senza fine” come descritto più volte da Erich Fromm. Non casualmente Benigni terminò anche l’ultimo film di Federico Fellini “La Voce della Luna” (1990), con parole analoghe: “io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…”.
Il silenzio nell’Ebraismo, è come insegnano i maestri “un recinto di sicurezza per la sapienza”, un invito dunque a non parlare a vanvera, ad usare sempre le parole con parsimonia dandogli valore, ma anche al Gnothi seauton, al conosci te stesso per avvicinarsi a D-o, come esortava Nachman di Brazlav, tramite l’Hitbodedut, quel silenzio che si poteva cogliere con la meditazione nella quiete della natura e nella contemplazione del creato. Non c’è un incoraggiamento all’isolamento dall’altro come nel cristianesimo con le pratiche ascetiche, sebbene molti zaddikim e profeti vissero comunque per lunghi periodi isolati dalla società circostante, ma una spinta semmai a ritrovare, e a scindere, il silenzio nel frastuono provocato dal mondo e dalla modernità. Quella confusione quotidiana che realmente ci confonde e ci allontana da D-o e da noi stessi per rincorrere idoli e cose futili.

Francesco Moises Bassano

(2 gennaio 2015)