dubbi…
Di fronte all’incarico divino di scendere in Egitto e liberare gli Ebrei dall’asservimento al Faraone, Moshè esprime dubbi e tentennamenti, che – sia detto per inciso – non sminuiscono la sua grandezza. Non ci deve stupire: chi accetta senza ponderazione e senza riserve un incarico è spesso un superficiale, che non si rende conto delle difficoltà cui deve andare incontro.
Uno dei maggiori dubbi che Moshè esprime in quest’occasione è l’incredulità degli Ebrei: “Essi non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce”. Osserviamo: una cosa è non credere, ossia un atteggiamento mentale e filosofico di scetticismo; altro è non dare ascolto, cioè essere filosoficamente convinti, ma non essere disposti a trarne le conseguenze pratiche. È qui che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ mostra a Moshè i prodigi del bastone che diventa serpente e della mano che alternativamente viene colpita da affezione e risanata. Questi prodigi meriterebbero uno studio approfondito, ma non meno importante è l’espressione con la quale Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ li presenta a Moshè: “Ma-zè be-yadékha?”, “Che cosa hai in mano?”; a prima vista una semplice domanda, che però, a causa della grafia, può essere intesa, come suggeriscono i Maestri, “mi-zè be-yadékha”, “da ciò che hai in mano”. La risposta ai dubbi di Moshè non deve venire dall’alto, ma dalla sua stessa mano, dalla sua azione. Se Moshè ha dei dubbi, usi la sua mano, ossia agisca come gli è stato comandato, ed avrà la risposta, sia il suo dubbio di ordine filosofico (credere o meno) o di ordine pratico.
Ciò vale per ognuno di noi: abbiamo dubbi, ed è giusto che ne abbiamo; ma siano essi di ordine ideologico, che si creda o no all’origine divina della Torà, o siano di ordine pratico, osservare o meno una determinata mitzvah, non attendiamo la risposta dall’alto, non aspettiamo un segno divino, non contiamo sul fatto che il Rabbino ci sollevi dai nostri doveri avocandoli a sé o garantendoci una chissà quale dispensa. “Mi-zè be-yadékha”, in mano di ognuno di noi sta la risposta, sta a noi agire, osservare le mitzvòth, studiare Torah, vivere ebraicamente per liberare noi stessi dall’Egitto della scomparsa del nostro Ebraismo.
Elia Richetti, rabbino
(8 gennai 2015)