Liberi, in piedi, insieme

Nell’inevitabile, ipocrita marmellata buonista che segue ogni tragedia, molti hanno finito per trattare l’assalto terroristico alla redazione di Charlie Hebdo come un episodio che si distinguerebbe dagli altri solo per il peso della carica di odio e distruzione portata all’interno delle nostre società da alcune realtà del mondo islamico.
Si tratta, purtroppo, di un’interpretazione riduttiva e di comodo, utile a coloro che conclusi i funerali contano di tornare ai propri affari.
La strage di Parigi non è stato un attentato come un altro e l’assalto alla redazione di un giornale è diversa anche dai fatti dell’11 settembre, perché rappresenta un attacco alla libertà di stampa e di espressione, di critica e di satira.
Molti fra i quali oggi si accodano per portare una candelina, una copia di questo corrosivo settimanale francese non l’hanno mai presa in mano, e fingono di dimenticarsi oggi quanto Charlie Hebdo sia stato un giornale scomodo. Un giornale libero. Un giornale che ha esercitato la propria libertà fino ai limiti della provocazione e lo ha fatto senza riguardo nei confronti di nessun potere costituito e di nessuna religione. Un giornale dichiaratamente sfrontato, programmaticamente antipatico.
Quello di Parigi non è solo un folle massacro (se la bestialità fosse misurabile, il terrorismo islamico ha fatto ben di peggio, massacrando bambini indifesi che andavano a scuola per il solo fatto di essere ebrei). Quello di Parigi è un massacro calcolato per marchiare la coscienza d’Europa, per mettere in ginocchio la stampa libera.
La domanda è se vogliamo subire o vogliamo raccogliere la sfida. La questione cui dobbiamo rispondere non è se dobbiamo combattere nella maniera più dura o meno il terrorismo islamico. Su questo si spera la risposta sia del tutto scontata.
La domanda è se ci riconosciamo senza ambiguità e senza tentennamenti nei valori della libertà d’espressione e di stampa. Se siamo disposti ad accettare che la stampa provochi, ironizzi, dia fastidio, sveli segreti, denunci malefatte. Se siamo disposti a tollerare che altri esprimano in libertà opinioni diverse dalle nostre.
Se ci rendiamo conto che minacciare una redazione o un giornalista, con piccoli o grandi episodi di squadrismo, non è solo vile, ma costituisce anche il più grave attacco ai valori dell’intera società.
Se pensiamo siano da archiviare con condiscendenza le esternazioni e le minacce di farabutti che si nascondono dietro al cretinismo dilagante su i social network.
Se vogliamo affidare l’interpretazione del conflitto mediorientale e gli equilibri interni al nostro mondo a operatori di aziendine commerciali specializzate nella manipolazione degli strati deboli dell’opinione pubblica. A gente che offre i propri servigi al migliore offerente e accetta di essere compensata con favori di scambio e finanziamenti occulti.
Se vogliamo credere che la vera difesa dell’immagine e degli interessi strategici di Israele e del popolo ebraico sia riducibile a una attività di propaganda e non di informazione professionale.
La professionalità dei giornalisti non è costituita solo dal loro vincolo alla deontologia applicata dagli organi disciplinari della categoria. Consiste soprattutto nel principio che chi pubblica deve necessariamente assumersi la responsabilità di quello che pubblica.
La domanda è se siamo disposti a capire che Charlie Hebdo è stato attaccato perché era dotato di una redazione vera, professionale, libera e pensante. Che era un giornale stampato e distribuito, non era un bollettino di parrocchia e non era un blog. Come molti analisti hanno sottolineato, infatti, se si fosse trattato solo di un sito le sue attività sarebbe state indifferenti ai più, non avrebbe potuto svolgere con efficacia il compito che si era dato, che era quello di inquietare le coscienze, molto probabilmente nessuno lo avrebbe degnato di tante attenzioni.
Ora che il presidente dell’Ordine dei giornalisti ha avviato le prime denunce penali nei confronti di chi esercita abusivamente la professione giornalistica c’è solo da augurarsi che questa azione prosegua con decisione, perché non si tratta della difesa dei privilegi di una corporazione di professionisti, ma costituisce l’unica tutela effettiva degli interessi primari dell’intera società.
È questa l’eredità che ci lasciano i colleghi di Charlie Hebdo, che non erano dei passanti qualsiasi implicati per caso in una mostruosa azione terroristica, ma dei combattenti armati di penne e di matite che hanno scelto di morire in piedi per difendere la nostra libertà.
Per questo, anche se è un giornale che non ha mai corrisposto alla mia sensibilità, ho visto sempre con gioia e spesso con un sorriso sventolare Charlie Hebdo nelle edicole. Per questo attendo con impazienza che il piagnisteo tardivo e ipocrita delle nostre ore sia rotto dal rombo della rotativa che farà girare il nuovo numero di Charlie Hebdo.
La redazione del Canard Enchainé, lo storico punto di riferimento della stampa satirica di tutto il mondo, ha già compiuto l’unico gesto di solidarietà vera che si poteva compiere garantendo che anche con il contributo di questi colleghi il giornale tornerà in edicola. Il direttore di Le Monde ha deciso di dedicare a questo 11 settembre d’Europa un titolo sulla prima pagina del giornale che sta per arrivare nelle edicole parigine che parla molto chiaro: “Liberi, in piedi, insieme”.
Per quanto mi riguarda ho deciso di sottoscrivere una quantità di abbonamenti al Charlie Hebdo, spero siano utili ai miei figli e ai miei nipoti. Nessuno di loro è un giornalista, ma ci tengo sappiano che c’è ancora gente che ha voglia, divertendosi e disseminando sorrisi fra i lettori, di fare questo lavoro a testa alta.

 

gv

 

(Nell’illustrazione un disegno di Sylvie Serprix – Le Monde)

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