…satira

Si sa, la satira e l’ironia sono brutte bestie, a volte indigeste ma necessarie. Lo sapevano i maestri del Talmud ad esempio nel famoso episodio del forno di ‘Aknay: «Che fece Dio in quel momento?»; ed Elia in risposta disse: «Sorrise e disse: “i miei figli mi hanno vinto, i miei figli mi hanno vinto” » (TB, Bava Mezia 59b). E lo sapevano i maestri Chassidìm con le loro innumerevoli storie e i witz spesso autoironici e feroci. Questa vena tutta ebraica è passata ad arricchire la società israeliana dove sul web e in TV la satira è spesso durissima e impietosa. La diaspora al contrario fa più fatica dopo la Shoah a riscoprire il valore fondamentale di questa pratica. È comprensibile, ma si è dovuto attendere il 1998 e lo straordinario film “Train de Vie” per accettare a denti stretti la rinascita di questa pratica culturale. Le povere vittime della redazione del “Charlie Hebdo” (a cui va tutta la mia reverenza, con particolare riguardo al grande Wolinski, che ha fatto parte della mia formazione culturale) sono state nel recente passato oggetto delle critiche del mondo ebraico per l’esercizio della satira su Israele e sugli ebrei. Lo ricordava su queste pagine l’ottima Daniela Gross nel 2008, e anche nel 2012 e 2013 la rivista fu oggetto di critiche durissime per il modo in cui trattava la vicenda di Gaza e in generale Israele. Io credo che – anche per rispetto di queste vittime, che sono cadute in difesa di un valore universale di libertà – l’ebraismo diasporico dovrebbe aver cura di riappropriarsi di satira e ironia come di due doti profondamente ebraiche, che aiutano a vivere meglio e a osservare con sguardo disincantato la realtà.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(9 gennaio 2015)