Boko Haram
Mentre a Parigi si consumava, quasi in presa diretta, la strage dei redattori di Charlie Hebdo, nonché i successivi luttuosi eventi, che stanno continuando a sconvolgere l’intero continente, a qualche migliaio di chilometri a sud della metropoli francese, nell’Africa subsahariana, e precisamente nel nord-est della Federazione nigeriana, a Baqa così come in alcune località limitrofe (tutte comprese nel distretto di Kukawa, nello Stato del Borno), duemila civili indifesi venivano massacrati dal gruppo terrorista Boko Haram. Le notizie sono, come spesso capita in questi casi, frammentarie e, in tutta probabilità, rimarranno tali. Parrebbe – il condizionale è d’obbligo per la descrizione delle dinamiche degli eventi, non per la veridicità del fatto criminale in se stesso, purtroppo comprovato – che in due attacchi, compiuti come veri e propri raid contro la popolazione civile locale, gli assalitori abbiano passato per le armi quanti sono venuti incontrando di momento in momento. La città, che contava circa diecimila abitanti, è stata data alle fiamme mentre i sopravvissuti, in fuga nella boscaglia, sono stati inseguiti e trucidati. Gli scampati sono riparati oltre il lago Ciad, fuggendo sulle rive opposte a dove si trovano le loro abitazioni. Di fatto, l’aggressione terroristica ha riguardato nel suo insieme sedici tra cittadine e villaggi, tutti saccheggiati, bruciati e quindi distrutti, ripetendo una prassi divenuta oramai abituale nella martoriata regione. Nell’ottobre scorso le autorità nigeriane avevano preannunciato un improbabile accordo con il gruppo terrorista. L’oggetto era sia una tregua temporanea, con il rilascio delle centinaia di studentesse brutalmente tenute prigioniere da Boko Haram dall’aprile, sia una “finestra” di tempo per permettere lo svolgimento, più o meno regolare, delle elezioni presidenziali e legislative in agenda per il prossimo mese. Dopo di che, il sedicente capo dell’organizzazione, Abubakar Shekau – già collaboratore del fondatore del gruppo medesimo, Ustaz Mohammed Yusuf, quest’ultimo poi ucciso nel 2009 e ad esso sostituitosi – ha smentito l’accordo con il ricorso ai fatti. Le violenze sono quindi di nuovo divampate. A corredo della carneficina di Baqa, due giorni dopo, ovvero sabato dieci gennaio, un’altra atrocità, l’ennesima, si è consumata. Una bambina di una decina anni, imbottita di esplosivo radiocomandato, è saltata in aria, malgrado il tempestivo intervento della sicurezza locale, allertata dal fatto che i metal detector avevano segnalato il pericolo. La bomba umana ha ucciso una ventina di persone in un mercato di Maiduguri, capoluogo del Borno, ferendone altrettante. Il luogo è lo stesso dove lo scorso primo dicembre due donne si fecero esplodere, causando una decine di morti e una cinquantina di feriti.Per compiere l’attentato è stata scelta un’ora di punta, poco prima del pranzo. Tra i banchi si aggiravano centinaia di persone, in gran parte donne con i loro bambini. Le fonti locali di polizia commentano che la piccola bomba umana era stata prontamente fermata e che due agenti la stavano perquisendo quando, per l’appunto, è avvenuta la deflagrazione. Probabilmente neppure sapeva cosa le fosse stato messo addosso. I due agenti sono morti all’istante dilaniati dall’esplosione. I Boko Haram avevano fatto compiere per la prima volta ad una donna un attacco suicida l’anno scorso, in giugno, nella città di Gombe, nell’omonimo Stato, a maggioranza musulmana ma nel cuore della Nigeria. Un mese dopo una bambina di dieci anni era stata bloccata a Katsina con addosso un giubbotto esplosivo. Si era salvata e tra le lacrime aveva raccontato di essere stata costretta a indossarlo dai familiari. In queste ore, intanto, miliziani fondamentalisti islamici stanno dando l’assalto a Damaturu, capitale del confinante stato nigeriano di Yobe. Fin qui la cronaca di questi giorni. Boko Haram, una locuzione che nell’idioma hausa indica il concetto per cui «l’educazione occidentale è malefica», ossia sacrilega e quindi peccaminosa, in realtà ha anche un altro nome, essendo conosciuto al secolo come «Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e per il jihad». Costituito tra il 2001 e il 2002, in origine intendeva instaurare la legge coranica nel Borno, con la collusione di una parte delle autorità governative, a vario livello compromesse con i gruppi fondamentalisti circolanti nell’intera area subsahariana. Segnatamente, nei traffici, per lo più illegali (armi, droghe, esseri umani), che attraversano le immense distese di terra che fanno da cuscinetto tra l’Africa centrale e quella maghrebina, sono implicati non solo gli uomini che appartengono ai gruppi del radicalismo islamista ma anche alcuni importanti esponenti della locale società politica. La posta in gioco è il controllo dei copiosi benefici che da tali maneggi derivano, la capacità di condizionare gli investimenti stranieri in un’ampia regione, quella del Sahel, ricca di risorse (la Nigeria è un paese in fortissima espansione, con un Prodotto interno lordo che nel 2013 ha superato quello, di per sé già ragguardevole, del Sudafrica), la possibilità – in prospettiva – di avvantaggiarsi dell’eventuale scomposizione politica di Stati, in parte federali, come la stessa Nigeria, dove le faglie di rottura non sono dettate dai confini cartografici bensì dai gruppi di appartenenza. In queste dinamiche Boko Haram si inserisce in quanto vero e proprio imprenditore politico del terrore. Usando come grimaldello la chiave della trasversalità transnazionale, laddove recluta anche nel Ciad, nel Niger, in Camerun e altrove ancora. Così facendo sembra anticipare quello che sta nel disegno politico di cui si proclama titolare, ossia la distruzione delle sovranità nazionali, la costituzione di una sorta di meta-organizzazione politica rigorosamente islamista e la sottomissione con la violenza delle comunità cristiane. Queste ultime, stanziate perlopiù nelle regioni meridionali, dove peraltro riposano gli ambiti depositi petroliferi del delta del Niger, stanno subendo ripetute persecuzioni, di cui abbiamo già diffusamente parlato in questa newsletter, se non addirittura una politica di deliberata eliminazione fisica. Alleati indispensabili in questa strategia della disintegrazione dell’esistente sono sia i tassi patologici di corruzione delle élite politiche locali, come della polizia, sia il disagio economico della popolazione, in gran parte composta da giovani senza prospettive. Due ingredienti purtroppo ben noti, diffusissimi un po’ ovunque e che costituiscono i migliori veicoli di propaganda e reclutamento tra soggetti che, molto spesso, in origine non sono religiosizzati ma rivestono, venuti a contatto con l’organizzazione terroristica, i panni della militanza fondamentalista con una naturalezza che è pari solo all’efferata violenza con la quale l’accompagnano. Lo Stato, nella regione, spesso non esiste o si riduce ad un circuito di vessatori feudali, di gabellieri se non di impostori. Ne è riscontro il fatto che Boko Haram, il quale professa un islamismo elementare, non solo privo di qualsiasi supporto teologico ma fortemente ancorato al substrato clanico e tribalistico locale, a tratti magico e apocalittico, possa contare sia sullo sfaldamento delle milizie regolari, dalle quali si approvvigiona ottenendo armi e munizioni, come anche sul concorso di un nutrito gruppo di giovani, tra cui non poche donne. Ancorché misogino, il radicalismo dell’organizzazione – infatti – ha comunque tra di loro un seguito significativo. Le stime dicono che i combattenti effettivi, del tutto autonomi sul piano della logistica e quindi capaci di muoversi velocemente, usando i pick-up, vere macchine feticcio della guerriglia, abbiano superato oramai le quindicimila unità. Con la preoccupante tendenza ad incrementare, di settimana in settimana, i ranghi degli aderenti. Mentre l’esercito regolare nigeriano indietreggia, lasciando la difesa dei villaggi in mano a sprovvedute e inaffidabili milizie autoctone, le falangi islamiste mangiano terreno. La strategia di consolidamento nel nord-est nigeriano, guardando con cupidigia adesso anche al Camerun, segue il modello già sperimentato nella guerra civile siro-irachena, anche se Boko Haram è geloso della sua autonomia, avendo in parte tagliato i ponti con le componenti africane di al-Qaeda. I punti di contatto, sul piano delle strategie virali di disseminazione regionale del verbo islamista, sono quel che resta della Somalia, la Libia fazionalizzata e alcune aree della Mauritania, sbocco verso l’Atlantico. Quello che sarà potranno dircelo solo i fatti a venire ma con un’Unione europea sotto scacco, dopo l’attentato parigino e le inaudite violenze ad esso accompagnatesi, nonché l’assenza americana, i global player internazionali, nella regione, saranno in tutta probabilità i cinesi (esposti finanziariamente) e, forse, alcuni russi. Gli uni e gli altri attenti a negoziare più che a sedare e, ancora meno, a contrastare efficacemente. Di certo, comunque vada, la Nigeria detterà legge nel continente e anche, in immediato riflesso, nell’area orientale dell’Atlantico. Bisognerà capire chi scriverà, in questo caso, le regole del gioco. Boko Haram sta mettendo i suoi paletti, al riguardo.
Claudio Vercelli