Terrore a Parigi – Milioni in piazza “Non c’è Francia, senza ebrei”
“La Francia non è la Francia senza ebrei”. Non basteranno le parole del primo ministro francese Manuel Valls a rassicurare la comunità ebraica francese, la maggiore d’Europa, scossa ancora una volta da un sanguinoso attentato. Eppure oggi, mentre milioni di cittadini si raccolgono nelle strade per gridare la propria opposizione al terrorismo, gli ebrei francesi non si sentiranno soli, oggi avranno tutto il mondo democratico a marciare insieme a loro nella grande dimostrazione di Parigi.
Ci saranno i giornalisti superstiti di Charlie Hebdo, in testa al corteo, come simbolo della libertà di espressione. Ci saranno cinquanta capi di Stato e di governo da tutto il mondo. E ci saranno le centinaia di migliaia di persone che stanno in queste ore affollando place de la République. Un’onda che investirà la Capitale francese al suono di “Je suis Charlie, flic, Juif”, “Sono Charlie, poliziotto, ebreo”, ricordando chi ha perso la vita in nome della libertà di espressione, chi per difenderla, chi per il solo fatto di essere ebreo. Un milione di persone marceranno per difendere i valori delle democrazia, della Repubblica, della libertà. E l’ebraismo francese, dopo essersi sentito solo, ritroverà nel momento del dolore la solidarietà dei suoi concittadini. Eppure certo non basta la solidarietà, non dopo che alla strage di Tolosa sono seguiti i fatti di venerdì, quando di nuovo quattro ebrei sono stati uccisi in quanto ebrei dalla mano del terrorista Amedy Coulibaly. Ora, devono essere presi provvedimenti concreti per garantire la sicurezza degli ebrei di Francia: “siamo feriti, siamo arrabbiati – ha dichiarato questa mattina Roger Cukierman, presidente del Crif (Conseil Représentatif des Institutions juives,), l’ente rappresentativo dell’ebraismo francese, prima di incontrare il presidente Francois Hollande – Crediamo che debbano essere prese delle misure sostanziali, urgenti e serie”. Se necessario, la risposta di Hollande, useremo l’esercito per mettere in sicurezza le sinagoghe e le scuole. Se ci saranno garanzie e azioni concrete, avvisa rav Moshe Lewin, direttore della Conferenza dei rabbini europei, dalle colonne di Le Figaro, sarà impossibile convincere gli ebrei francesi a non espatriare. A non seguire le esortazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che prima di partire per Parigi – dove parteciperà nel pomeriggio alla grande manifestazione in favore della democrazia e della libertà – ha voluto lanciare un messaggio agli ebrei transalpini ed europei. “Israele è la vostra casa”, ha affermato il premier ricordando che “qui qualsiasi ebreo sarà ricevuto a braccia aperte”. I numeri, come è oramai noto, danno ragione a Netanyahu con il 2014 che ha visto 5mila ebrei francesi fare l’aliyah (il numero più alto mai registrato dalla Francia) mentre il 70% di coloro che attualmente vivono Oltralpe pensa sempre più concretamente di emigrare (non solo Israele tra le mete, anche Canada e Stati Uniti). L’invito a fare l’Aliyah (salire in Israele) non è stato evocato solo dal premier Netanyahu, bensì diversi politici israeliani di primo piano hanno lanciato lo stesso messaggio all’ebraismo transalpino: da Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri, all’ex ministro delle Finanze Yair Lapid. Parole che non sono piaciute al rav Menachem Margolin, direttore dello Associazione europea ebraica (Eja). “L’Aliyah è una scelta personale e dovrebbe sicuramente essere un obiettivo per lo Stato di Israele – ha dichiarato Margolin – ma chiunque abbia famigliarità con le realtà europea sa che invocare l’aliyah non è una soluzione per il terrorismo antisemita”.
L’ebraismo francese vuole sentirsi sicuro e appoggiato dall’intera società ma anche protetto dalle istituzioni perché dopo Tolosa – dove un terrorista aveva aperto il fuoco nel marzo 2012 davanti a una scuola ebraica, uccidendo quattro persone, di cui tre bambini – oggi c’è Parigi. Una Parigi scossa fino alle fondamenta dall’attacco dei fondamentalisti islamici: colpita prima nella sua libertà d’espressione con l’attentato a Charlie Hebdo, poi nel suo essere una realtà multiculturale, in cui le minoranze sono un valore, con l’attentato del supermarket kasher. Qui ieri si è tenuta una manifestazione con alcune migliaia di persone (in tutta la Francia ma anche in diverse parti del mondo, da Milano a Tel Aviv, ci sono state dimostrazioni simili) per commemorare le quattro vittime del terrore antisemita. “I giornalisti sono stati uccisi perché difendevano la libertà – ha dichiarato nell’occasione Valls rivolgendosi a tutti i cittadini – I poliziotti sono stati uccisi perché stavano proteggendo voi. Gli ebrei sono stati uccisi perché erano ebrei. L’indignazione deve essere assoluta e totale, non può durare solo tre giorni ma deve essere permanente”. Dalle cronache delle ultime ore molte persone sui social network riferiscono di una Parigi che si prepara a scendere in piazza in cui risuona forte lo slogan “Je suis Charlie, flic, Juif”.
Da questa marcia in difesa dei valori della Repubblica e della democrazia gli ebrei, ma non solo gli ebrei, auspicano una nuova direzione per la società francese. Più presente a se stessa, più decisa nell’estirpare odio e violenza e meno incline ad abbandonarsi a populismo e demagogia. Servono fatti, non parole, il messaggio di Cukierman, che vale per la difesa del mondo ebraico così come vale per tutti coloro che hanno a cuore la libertà.
Daniel Reichel
(11 gennaio 2014)