Parigi, come parlarne in classe

classeNiente quaderni, niente interrogazioni, niente programmi. Questi giorni che seguono i tragici eventi di Parigi sono difficili nella vita e sono difficili anche a scuola. Per gli insegnanti, che devono affrontare argomenti spinosi con bambini di tutte le età e anche formazioni culturali, ma anche per gli studenti, per i più piccoli che devono essere aiutati a capire quello che sta succedendo e per i più grandi che lo devono elaborare nel modo migliore. Ma come ci si rivolge ai bambini? Come si chiede loro di rispettare un minuto di silenzio, che in Francia il Presidente della Repubblica Hollande ha istituito per tutti gli istituti scolastici nella mattinata di giovedì ma che è stato rispettato anche fuori dai confini francesi, in modo consapevole? Più bassa è l’età, meno è scontato. Su twitter circola l’esperienza raccontata da una maestra di una scuola materna francese, che ha trovato il suo personale modo di esprimere solidarietà insieme alla sua classe. “Non ha detto niente ai bambini, salvo chiedere loro di disegnare quella mattina ciò che volevano con calma. In seguito, ha incollato questa etichetta su ogni disegno: ‘Siccome siamo troppo piccoli per stare zitti durante un minuto, per rendere omaggio alle vittime dell’attentato del 7 gennaio 2015 a Parigi, disegniamo affinché nessuno possa vietarci un giorno di disegnare’ e invierà i disegni alla redazione di Charlie Hebdo”. Ma internet mette a disposizione una quantità incredibile di storie, tramutandosi in una valvola di sfogo e condivisione per moltissimi insegnanti francesi appassionati che si scatenano sui blog. Leggere le reazioni dei bambini d’Oltralpe spesso procura una splendida iniezione di fiducia, qualche volta un po’ di amarezza. E mentre un’insegnante di una scuola di Seine-Saint-Denis, quartiere della periferia a nord di Parigi ad altissima popolazione musulmana, racconta che nella sua classe di scuola media “tutti gli allievi hanno capito, alcuni hanno scritto spontaneamente delle arringhe per la libertà di espressione, altri hanno fatto delle osservazioni più intelligenti di certi adulti, altri ancora hanno letto la poesia Liberté di Paul Eluard tra i singhiozzi”, un’altra professoressa ha confidato il suo timore di affrontare l’argomento concludendo con un misto struggente di tristezza e rassegnazione: “Non ho saputo mantenere il silenzio di fronte all’indicibile, allora abbiamo parlato e le mie paure sono divenute realtà”. Il Ministero dell’Istruzione francese ha fornito sul suo sito strumenti pedagogici e suggerimenti per gli insegnanti del paese. Ma anche al di fuori di esso maestri e professori si sono trovati nello stesso frangente. “Mentre i bambini più piccoli sono messi in relazione con gli avvenimenti di questi giorni in modo indiretto, vedono dei cambiamenti intorno a loro e respirano un momento critico di cui non hanno però un’idea precisa, i ragazzi più grandi seguono l’attualità con grande attenzione”, ha rilevato Rav Benedetto Carucci Viterbi, preside della Scuola della Comunità ebraica di Roma. Gli studenti del liceo, racconta, stanno organizzando un dibattito guidato da analisti per riflettere insieme. “Il giorno dopo la sparatoria alla redazione di Charlie Hebdo, non ero decisa ad affrontare l’argomento nella mia quarta elementare, ma la situazione che ho trovato al mio arrivo in classe mi ha costretta”, racconta invece una morah della Scuola della Comunità ebraica di Milano. “Durante le ore di lezione precedenti era stato chiesto a tutta la scuola attraverso gli altoparlanti di rispettare un minuto di silenzio, e quando sono arrivata la classe era sull’orlo di una crisi di nervi, con un allievo di origine parigina in lacrime”. Ne è nato un confronto di un’ora. “Ho fatto parlare tantissimo loro”, spiega la maestra. “La situazione fa effettivamente paura, e non serve negare o far finta che non ci sia da preoccuparsi. Ho dunque accolto l’ansia espressa dai bambini, cercando però di farla virare verso la fiducia che gli adulti possono dare, mettendo in chiaro che non tutti i musulmani ci vogliono del male, che ci sono dei modi belli per vivere insieme in pace, e che anche se qualcuno opera in senso opposto siamo noi in prima persona che possiamo cambiare le cose”.

Francesca Matalon

(13 gennaio 2015)