Periscopio – Responsabilità
È difficile sintetizzare in poche righe le profonde, contrastanti emozioni suscitate dai terribili fatti di Francia e dalla imponente reazione mondiale che ne è seguita. È evidente come lo spietato attacco mostri, con impressionante crudezza, a quale livello di potenza, ferocia e pericolosità sia giunta la violenza terroristica che insanguina, ormai da tempo, le strade d’Europa e del Medio Oriente. Come è evidente che la grande manifestazione di Parigi dimostri un diffuso sentimento di paura e di ripugnanza, il rifiuto della maggioranza dei cittadini europei di precipitare nella spirale di orrore a cui le centrali del terrore vorrebbero destinarli.
E non vogliamo dubitare dell’onestà dei sentimenti dei manifestanti, così come della serietà dell’impegno della grande maggioranza dei politici presenti. Non facciamo notare, per non “rovinare la festa”, che tra questi c’era anche il leader di un partito la cui pagina Facebook reca l’immagine di un montagna di teschi, ognuno ha i suoi gusti, e poi bisognerebbe vedere a chi alludono quei teschi, c’è teschio e teschio.
Il mondo, inoltre, spaventato dai brutti ceffi dei tre ‘supercattivi’, mostra un disperato bisogno di credere che tutti gli altri, ma proprio tutti, siano buoni. Perfino di Hamas tutti i giornali hanno sottolineato la condanna dell’attentato, senza ovviamente notare che nel comunicato si faceva grande attenzione a non nominare le vittime ebree, e senza ricordare che solo poche ore prima un sito affiliato all’organizzazione, Al-Resalah, ha pubblicato una foto dei tre stragisti qualificati come martiri.
Per soffermarci soltanto sui commenti all’attentato registrati nel nostro Paese, verrebbe da dubitare che si possa considerare quanto accaduto un attacco, come tante volte si è detto, alla “nostra civiltà”, e ai suoi valori fondanti (democrazia, libertà di parola, di culto, di espressione ecc.), se, nella civiltà colpita, sembrano così diffusi coloro che mostrano per questi valori il più totale e sistematico disprezzo. Per averne una riprova, basterebbe scorrere i numerosi commenti apparsi sul blog di un nostro grande partito di massa, in larga percentuale orientati alla teoria del complotto (sionista o americano), delle ‘manine’ nascoste, del ‘cui prodest’ e via delirando. O di chi indica quanto accaduto come la prova provata che ogni differenza di lingua, nazionalità e religione sia una bomba in attesa di esplodere, che l’unica soluzione sarebbe la creazione di una società ‘pulita’, ‘bianca’ e ‘ordinata’, dalla quale sia bandita ogni forma di alterità, di dialogo e di integrazione, e vanta tra le proprie file chi ha espresso parole di ammirazione per le idee di Anders Breivik, l’autore della strage di Utoya, che fece 77 morti.
Se gli spietati assassini odiano la nostra democrazia, hanno dalla loro parte non solo le molte migliaia di cittadini europei che, in risposta all’hashtag #JeSuisCharlie, hanno twittato sul ‘controhashtag’ #JeSuisKouachi, ma anche sui molti milioni di europei in giacca e cravatta per i quali la democrazia e la libertà di espressione sono esclusivamente degli strumenti utili a spargere odio e veleno. È bene esserne consapevoli, è male far finta di nulla.
In generale, il fatto che a essere colpiti siano stati giornalisti ed ebrei (e sappiamo che nel mirino c’era in origine addirittura un asilo ebraico) è stato visto come un fatto normale e logico: è chiaro che i terroristi odiano la libertà di espressione, ed è ovvio che gli ebrei sono, da sempre, il loro nemico numero uno. Ma, se nessuno si è stupito di tale collegamento, nessuno, come al solito, si è neanche soffermato a ragionare su una realtà essenziale, quanto, evidentemente, scomoda: sul perché ogni odio contro la libertà sia anche – o possa sempre diventare – anche un odio antiebraico, e perché ogni odio antiebraico sia anche – o possa sempre diventare – un odio contro ogni libertà. Qualcuno, per esempio, avrebbe potuto ricordare, che, proprio negli stessi giorni in cui, dalle strade di Parigi, cominciavano a irradiarsi per l’Europa le nuove parole ‘liberté’, ‘egalité’ e ‘fraternité’, tanti non ebrei cominciavano a capire che quelle parole, nel perdurare della discriminazione antiebraica, sarebbero suonate vuote e beffarde, e cominciavano a impegnarsi in tal senso. Ma, da allora, non sappiamo se la storia è camminata in avanti, o all’indietro.
In quanto associati alla strage dei coraggiosi giornalisti satirici, comunque, almeno stavolta i frequentatori – anch’essi coraggiosi, per il solo fatto di avere continuato, da ebrei, a vivere in quella che è oggi è diventata la Francia – del supermarket kosher assassinati sono stati fatti oggetto di belle parole e di cerimonie di lutto e di commemorazione, Certo, quando gli ebrei muoiono da soli (vedi le sinagoghe di Tolosa e di Har Nof), l’Europa non si mette e lutto, e l’impressione è infinitamente minore. Quando, poi, il sangue ebraico scorre in Israele, ovviamente tutti ne attribuiscono almeno una parte di responsabilità al governo di Gerusalemme, e molti si affrettano a proporre geniali soluzioni, del tipo “riprendere le trattative di pace”, “riconoscere la Palestina” ecc. Perché nessuno, in questi giorni, ha attribuito la colpa di quanto accaduto al governo di Hollande?
Francesco Lucrezi, storico
(14 gennaio 2015)