E noi dove stiamo?
In questi giorni terribili in cui abbiamo avuto ottime ragioni per domandarci se ci sia ancora un futuro per gli ebrei in Europa sono rimasta sconcertata da una frase pubblicata su questa newsletter la settimana scorsa: “Si è mai visto un ebreo chiedere che dalle scuole e dagli ospedali venga rimosso il crocefisso?” Quasi come se opporsi alla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici fosse un’assurdità o un’abiezione. Sarebbe troppo lungo in questa sede elencare tutti gli ebrei italiani che in vari ambiti si sono spesi in questa battaglia (che in altri paesi sarebbe scontata) per la laicità delle istituzioni, e ripercorrere tutte le vicende legate a processi, sentenze, prese di posizione pubbliche, interviste e articoli. Per dimostrare che questa scandalosa categoria di persone esiste davvero mi basta dire che sono fiera di farne parte. Il crocifisso non è un simbolo neutro dell’identità europea o italiana: per i cristiani credenti è un’immagine della divinità, e interpretarlo diversamente sarebbe offensivo prima di tutto per gli stessi cristiani. Per chi non è un cristiano credente la sua collocazione in posizione centrale in un luogo pubblico può significare solo una cosa: tu a questo luogo non appartieni; anche se è la tua classe, anche se lavori qui dalla mattina alla sera, devi ricordarti in ogni momento che qui non sei una persona come le altre ma un ospite mal tollerato.
In una visione del mondo che immagina il destino dell’Europa come uno scontro di civiltà tra Cristianesimo e Islam pare che non ci sia posto per nessun altro, e gli ebrei devono scegliere da che parte stare senza sottilizzare troppo. Ma se per essere protetti da chi oggi ci minaccia fisicamente non avessimo realmente altra scelta se non fare nostri senza discutere le ragioni e i simboli di chi ci ha perseguitato per duemila anni, vorrebbe dire che davvero per noi ebrei in Europa non c’è un futuro.
Anna Segre, insegnante
(16 gennaio 2015)