Oltremare – La rincorsa
La fase attuale sembra essere quella della rincorsa, in cui si fa un passo o due indietro, si puntano bene gli occhi alla bandierina del traguardo (il 17 marzo), e poi si affonda il piede nella sabbia sottile della pista e via, a chi corre più forte. Non più elegante, o più corretto, o col sorriso più smagliante: solo più veloce. È quello che conta all’arrivo, dove una manciata di millesimi di secondo, o un pugno di voti, fanno la differenza fra vittoria e sconfitta.
Tutti in fila a lisciarsi il pettorale, ottenuto dopo corse all’ultimo voto nei partiti, oppure piovuto dall’alto, come regalo del líder máximo, nei partiti che non fanno le famigerate primarie. Se fossi un politico, avrei il terrore sacro delle primarie. Luoghi in cui ogni sgambetto e fallo a gamba tesa può prodursi, di solito ad opera del migliore amico o del collega di una vita. Forse preferirei essere incoronata da un capo un po’ megalomane, mantenendo intatti i rapporti con i compagni di partito. Salvo quelli che avrebbero voluto essere al mio posto, e allora siamo da capo. Sangue e arena.
In Israele queste elezioni, per essere che nessuno le voleva, si stanno dimostrando parecchio arzille. Fioccano i giornalisti, che lasciano la sedia da un lato dello schermo per comparire il giorno dopo dall’altro, sapendo che è un passaggio che non ammette ritorno. Politici temprati praticano il famoso salto del partito, approdando spesso a piedi uniti per essere poi abbattuti da critiche e sondaggi.
Al momento sono dati per vincenti Herzog e Livni, il ‘Campo Sionista’, nome malaugurante purtroppo; però il popolo, anche quello più affezionato o assuefatto a Nethanyahu, comincia a dare segni di stanchezza per la sua lunga permanenza al vertice, e potrebbe davvero finir bene per la sinistra, almeno a numeri. Perché poi, con 25 seggi su 120, altro che un centometrista scattante: ci vuole un prestigiatore, a metter su una coalizione che non crolli al primo giro di pista.
Daniela Fubini, Tel Aviv – Twitter @d_fubini
(19 gennaio 2015)