…limiti

Ci sono o non ci sono i limiti alla satira? L’argomento è troppo importante per non riprenderne un filo. Forse dipende dalla cultura cui si ‘desidera’ appartenere. Si può scegliere di tollerare la libertà di espressione altrui (anche a rischio che essa ci offenda) o di pretendere il rispetto assoluto delle nostre idee (anche al punto da censurare il pensiero altrui). Fra le due posizioni, e fra i due rischi opposti, non esiste possibilità di conciliazione. Tutto è soggettivo, tutto dipende dalla sensibilità di chi la satira la usa e dalla capacità di sopportazione di chi la subisce. Prendiamo pure l’esempio di Dio come oggetto del contendere. Gli ebrei sono abituati a dire a Dio quello che si merita. Un Dio un po’ imbranato che per creare il mondo ci mette più tempo del necessario, dopo infiniti tentativi fallimentari. Un Dio che si mette in mezzo nelle diatribe fra gli uomini e al quale gli uomini dicono: “Tu ci hai dato la Torah, è vero, ma ora ce la discutiamo fra noi, sta zitto e tientene fuori, non c’entri più!” Chissà come ci sarà rimasto male Lui, a essere trattato come uno che si immischia nei fatti altrui, zittito ed escluso dalla sua stessa Legge. Un Dio a cui si rimprovera di essere stato zitto mentre accadeva Auschwitz. Questo è il Dio con cui discutono gli ebrei. È questione di cultura. Si tratta di essere in grado di distinguere fra adesione all’amore di Dio – qualsiasi Dio – e adesione ai valori che la Sua legge dà agli uomini, primo fra tutti l’amore per l’uomo. E capire anche che l’amore per Dio, qualsiasi Dio, non può prescindere dall’amore per l’uomo, salvo inficiarne il messaggio. Quando nel nome di un Dio si uccide – e la storia ci ha dato esempi innumerevoli di questa prassi – si può sospettare che qualcosa non funzioni in quel Dio o, più probabilmente, nella interpretazione che si dà delle sue parole. Che cosa avrebbero dovuto fare gli ebrei quando cominciarono a sentirsi dire da interpreti un po’ ottusi (e blasfemi?) che il loro Dio chiedeva ad Abramo di sacrificare crudelmente il proprio figlio? Che cosa dovrebbero fare a chi ancora oggi parla di ‘sacrificio di Isacco’, giustificando così l’idiozia per la quale il Dio degli ebrei è un Dio geloso, crudele e via dicendo, dimenticando che l’imperativo ‘ama il prossimo tuo come te stesso’ l’ha inventata Lui? E che cosa avrebbero dovuto fare gli ebrei quando cominciarono a sentirsi dire che il loro Dio, assoluto, totalmente spirituale, disponibilissimo al dialogo ma fisicamente irraggiungibile, era in effetti un libertino e aveva avuto un figlio, come se fosse stato un qualsiasi Zeus? Per gli ebrei del tempo (e forse anche per quelli di oggi) questa fu peggio che satira, fu dileggio e bestemmia, ma non fecero terrorismo né crociate. E che cosa avrebbero dovuto fare gli ebrei dissidenti, i nuovi cristiani, che si videro uccidere colui che essi consideravano figlio di Dio, crocifisso crudelmente, in malo modo? Avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco l’intero impero romano? Non lo fecero, forse perché non ne avevano, ovvio, la forza; si limitarono a prendersela nei secoli con gli ebrei ‘deicidi’, anche quando i romani non c’erano più. Sì, è vero, per gli ebrei non fu proprio una passeggiata, ma sono sempre stati abituati ad avere tanta pazienza con chi li tormentava, e non solo con satira e invettive. D’altro canto, se la satira blasfema contro Dio offende i fedeli, la satira contro l’uomo, quella che lo caricatura come crudele complottista, produce odio e sangue. Ne seppero qualcosa gli ebrei della satira nazista, ne sanno qualcosa gli israeliani (e gli ebrei) caricaturati razzisticamente da certa propaganda (anche italiana) filo-palestinese, e ne sappiamo tutti qualcosa quando la TV irachena ride dicendo che l’ISIS è nata dal congiungimento del diavolo con un’ebrea. Mi interessa molto di più, allora, chiedermi quali siano i limiti della satira politica contro l’uomo, piuttosto che i limiti della satira religiosa contro Dio. Destabilizzare un’ideologia religiosa (avventura improba, oltretutto) mi sembra assai meno grave che destabilizzare la vita di chi mi vive accanto. Ora, ciò che più spaventa – e spero mi si capisca – non sono gli attentati attuali in Europa, ma le piazze invasate che inneggiano alla jihad, la guerra santa, nei paesi del Medio Oriente, le folle che, nel nome del Profeta, bruciano bandiere, chiese e cristiani. Per fortuna di ebrei non ne possono bruciare: li hanno mandati via da qualche decennio, dopo averne massacrati un po’ e averli espropriati di tutto, tanto per mostrare un po’ di sacro idealismo. E, anche in quel caso, dall’Europa salì un grande urlo di silenzio. I pochi ebrei che rimangono in quei paesi servono come arma di ricatto per un Occidente impotente e disorientato, e alla fine indifferente. Ma se qualche misura di pubblica sicurezza e magari la chiusura delle frontiere possono cercare di limitare i danni in Europa, non c’è modo di limitare il guasto di certa cultura di massa in paesi dove la promessa di rosee primavere si è trasformata sventuratamente in avvento di altrettanti rigidi inverni.

Dario Calimani, anglista

(20 gennaio 2015)