Qui Roma – Cdec, la Memoria diventa digitale
Un’occasione di confronto sulle nuove avanguardie e le tecnologie fondamentali per il lavoro nei musei, archivi e biblioteche. È la sfida dell’International Workshop “Linked Open Data & The Jewish Cultural Heritage” organizzato dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea con la società regesta.exe (che sviluppa tecnologie al fine di valorizzare i beni culturali) e l’Istituto di Informatica e Telematica del CNR. L’evento è stato reso possibile grazie al patrocinio di Camera dei Deputati, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, W3C Italia, ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Fondazione del Museo della Shoah e Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah e con il sostegno de Gli amici della Fondazione Cdec. Dopo le sessioni della mattina che si sono concentrate sulla spiegazione prettamente tecnica del LOD (il Linked Open Data project), la seconda parte del workshop ha preso in esame l’iniziativa specifica del Cdec e gli esempi proposti dalle altre istituzioni ebraiche internazionali.
Si entra nel vivo del progetto del Cdec ‘Nomi delle vittime della Shoah’; prima della digitalizzazione e introduzione dei LOD, il lavoro era ben diverso e lo rievoca Liliana Picciotto, la storica del Cdec pioniera dell’iniziativa e consigliere dell’UCEI: “Da dove siamo partiti? Mentre negli anni ’70 l’Ibm elaborava i primi metodi di catalogazione digitale, noi iniziavamo a compilare a mano delle schede su oltre 9000 ebrei italiani deportati. Ad ogni riga corrispondeva una categoria di informazioni. Quando negli anni ’80 la Olivetti ci regalò un primo modello di computer non ci sembrò vero”.
Laura Brazzo spiega i passi per digitalizzazione operata dal Cdec: “Attraverso il LOD abbiamo fatto dialogare le risorse di cui disponiamo come l’archivio fotografico e quello storico. Partendo del database di Liliana Picciotto abbiamo creato una nostra ontologia e dato ad ogni uomo e donna un codice specifico e univoco. In questo modo il nostro Centro è diventato uno dei primi istituti italiani ad applicare questa metodologia”.
Tra una settimana circa, il database darà fruibile: ogni utente potrà ricostruire l’identità degli ebrei italiani deportati, sapere la data del loro arresto, ricostruire il proprio albero genealogico e persino sapere i nomi degli uomini partiti con lo stesso convoglio. Silvia Mazzini di regeste.exe spiega poi come è stata creata l’ontologia specifica del Cdec: “Abbiamo usato il linguaggio Owl che permette il ragionamento automatico dei dati e studiato le ontologie preesistenti. L’ontologia è la descrizione esaustiva un particolare dominio di interesse, quindi un prerequisito fondamentale per i LOD. Il nostro scopo è quello che i dati vengano condivisi il più possibile”. Chiara Veninata del Ministero infine sottolinea la potenzialità dell’interlinking, la connessione quindi tra i diversi dati dei diversi istituti che adoperano il LOD”. LOD esaltato anche da Micaela Procaccia della Direzione Generale degli Archivi Mibact che cita poi l’opinione di una storica del Medioevo sull’importanza della storia ebraica: “Se la trama di questa eredità si sfilaccia fa perdere il disegno dell’ordito”. Maurizio Vivarelli dell’Università di Torino specifica: “Non è detto che il metodo dei LOD sia definitivo, probabilmente il nostro è un incunabolo digitale”.
Ad intervenire ai lavori anche il parlamentare del Partito Democratico Emanuele Fiano: “Ricevo continue segnalazioni di falsificazioni o interpretazioni erronee della storia. Ed è proprio per questo che credo che il governo non debba smettersi mai di interrogarsi su come sviluppare il Giorno della Memoria. Il lavoro del Cdec sulla Shoah non deve essere visto come il lavoro di archeologi ma costruzione contemporanea della conoscenza”.
Dov Winer della Hebrew University introduce Judaica Europeana, la piattaforma che ricostruisce la storia e la vita degli ebrei, inserendo personaggi che si sono distinti come Rita Levi Montalcini o Sarah Bernhardt ma anche catalogando immagini e luoghi. “Per realizzare un progetto del genere – spiega – si sono create partnership con 31 enti ebraici diversi al fine di avere un universo di dati ebraici in comune”.
Yael Gherman illustra poi l’European Holocaust Research Infrastucture, un percorso inserito da quattro anni nel programma dell’Unione Europea e riconfermato anche per il prossimo anno. “Vogliamo ricostruire la vita di ogni deportato ed unire i database di tutto il mondo. Per ottimizzare dobbiamo superare il multilinguismo ed abbiamo chiesto ad altri istituti di integrare il nostro vocabolario di keywords”.
Adina Molad di Yad Vashem mette poi in luce le risorse informatiche adoperate: “Il nostro sito è tradotto in sette lingua, presenta milioni di oggetti digitalizzati e siamo presenti sui social. Usiamo il gps per geolocalizzare i percorsi di ogni deportato durante la Shoah. Abbiamo poi dei progetti ad hoc a seconda degli interessi degli studenti con materiali interattivi e abbiamo usato Facebook per ricostruire i profili e permettere gli utenti di ritrovare eventualmente i propri antenati”.
A concludere, Giovanni Maria Flick, presidente onorario Fondazione Museo della Shoah di Roma: “Avete davanti un analfabeta digitale. Un punto di partenza però ce l’ho ed è la necessità assoluta di ricordare. Ho riflettuto su questo punto anche durante l’ultimo viaggio ad Auschwitz con il presidente dell’UCEI Renzo Gattegna. Creare una memoria condivisa è fondamentale. In special modo per chi ad Auschwitz non è mai stato. Non dobbiamo permettere la triste profezia tracciata da Primo Levi, ossia che alla morte degli ultimi testimoni, il negazionismo avrà la meglio. L’ingiuriosa scritta alle porte di Auschwitz dice ‘il lavoro rende liberi’, ma a rendere liberi sarà sempre la Memoria”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(Nell’immagine l’intervento del deputato Emanuele Fiano)
(21 gennaio 2015)