Fingere stupidità
Una delle prime cose che ho imparato da insegnante era che non bisognava mai dire ai genitori che i loro figli non erano intelligenti; meglio dire che non studiavano, o studiavano poco. Oggi questa regola – che appare dettata da elementare buonsenso – non sembra più valida. Ci sono genitori pronti a giurare in tutte le lingue del mondo che i figli studiano moltissime ore al giorno; non si rendono conto che in questo modo fanno fare ai propri ragazzi la figura degli idioti, incapaci di apprendere nozioni elementari anche dopo uno studio approfondito?
Gradualmente nella scuola italiana nel corso degli ultimi decenni si è fatta strada una cultura che tende a premiare l’impegno indipendentemente dal risultato; cosa di per sé in parte condivisibile, ma che, se portata alle estreme conseguenze, diventa paradossale: non solo i genitori non si preoccupano di presentare i propri figli come ottusi e incapaci, ma anche i ragazzi stessi preferiscono apparire così stupidi da leggere un libro e dopo due giorni non sapere più come finisce o come si chiama il protagonista pur di non ammettere di non averlo letto. Anche la scuola spesso pare assecondarli in questa finzione fornendo prontamente esercizi facilitati, corsi di recupero, ecc.
D’altra parte anche dal mondo degli adulti sono giunti negli ultimi anni esempi autorevoli di questa ostentata ottusità: imprenditori che affermavano di non saper nulla di quello che accadeva nelle loro aziende, politici che quasi si vantavano di non conoscere il valore di mercato della casa in cui abitavano. Sono semplici bugie raccontate alla leggera con la convinzione che l’interlocutore non le prenderà troppo sul serio oppure davvero nel mondo di oggi l’intelligenza non è più considerata un valore? Certamente un valore caduto un po’ in disuso è la capacità di assumersi le proprie responsabilità. Ma fingersi stupidi non è un prezzo troppo alto da pagare solo per evitare di assumersi qualche responsabilità?
Anna Segre, insegnante
(23 gennaio 2015)