L’Islam in Europa
Dovrebbe far riflettere la frase pronunciata – attenendosi ad un articolo del Corriere della Sera – dal fratello di Yoav Hattab, uno dei quattro assassinati nella strage all’Hypercacher di Porte de Valenciennes: «La Tunisia è più sicura della Francia».
La stessa famiglia Hattab, di nazionalità tunisina, era già stata colpita nell’attentato del 1985 a Djerba, e la maggioranza degli ebrei francesi, è risaputo, è di origine maghrebina, quindi rifugiati in Francia a causa prevalentemente dell’antisemitismo di matrice araba. Eppure tutt’oggi sembrerebbe più insicura e a rischio la popolazione ebraica che vive in Europa rispetto alla stessa che continua a vivere in paesi islamici come il Marocco, la Tunisia, la Turchia, o addirittura l’Iran. Ciò dovrebbe forse significare che il pericolo, a discapito dell’opinione di molti, non è l’Islam in quanto tale, ma una forma di Islam sviluppatosi in Europa, nelle nostre periferie e nei seminterrati trasformati in moschee abusive, lo stesso Islam presente nei sobborghi degradati di Algeri o Tunisi. Un nuovo Islam il quale sebbene conservi le proprie radici nella propria storia e tradizione e tragga la propria linfa vitale dalla galassia integralista che unisce l’Atlante con il Kashmir passando per il Califfato, è sostanzialmente un Islam globalizzato e post-moderno, il quale tra i tanti caratteri negativi ha assimilato anche quelli già propri dell’Occidente, come il pregiudizio anti-ebraico – già insito certamente nella storia araba, ma rinvigorito da quello europeo di antica memoria – o la diffusa demenza digitale. Un Islam appunto, – che come ribadiva un articolo sulla rivista Limes di Eugenio Dacrema – ha operato negli ultimi tempi una diversa percezione della propria cultura religiosa attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, svuotandone dei contenuti, semplificandoli e in tal modo strumentalizzandoli negli aspetti più controversi ad uso e consumo della missione jihadista. Fondamentale, a tal proposito, sarebbe naturalmente l’immagine e una sorta di culto feticistico di essa, la quale propagandosi sul web diverrebbe in tali circostanze messaggio universale e fonte di imitazione per giovani internauti, nonostante il contrasto con la tradizione iconoclasta delle origini.
Un Islam che infine come il nazismo, non attua nessuna distinzione tra musulmani e non musulmani, ciò è stato tragicamente attestato anche nell’ultima strage del sette gennaio, dove hanno trovato la morte Ahmed Merabet e il cabilo e connazionale di Kouachi, Mustapha Ourrad. Entrambi, insieme al commesso dell’Hypercacher Lassana Bhatily, potrebbero forse testimoniare più delle prese di posizione, talvolta ambigue, dei vari imam, come i diciannove milioni di musulmani presenti nell’Unione Europea, non siano indistintamente da considerare come potenziali terroristi o assassini, e come all’interno di questo mondo, così distante e contemporaneamente così plasmato da secoli dal nostro, un modello d’integrazione e di laicità sia da considerarsi comunque possibile.
Francesco Moises Bassano
(23 gennaio 2015)