Qui Bologna – La scuola del pregiudizio
Insegnare il culto della razza, la discriminazione, il pregiudizio alle nuove generazioni. Costruire un sistema educativo improntato sul razzismo e sull’antisemitismo per dividere la società in “noi”, buoni, giusti, ariani, e “loro”, perfidi e crudeli. Questo il tentativo del fascismo che utilizzò la letteratura giovanile, l’editoria scolastica, il fumetto, per influenzare le giovani generazioni e gettare le fondamenta per un’identità nazionale fascista. Una politica pedagogica corrotta e forse poco nota a cui il Museo ebraico di Bologna ha voluto dedicare la mostra A lezione di razzismo. Scuola e libri durante la persecuzione antisemita, inaugurata oggi e curata da di Pamela Giorgi (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa – Indire), Giovanna Lambroni (Fondazione Ambron Castiglioni, Firenze) e dal direttore del Museo ebraico bolognese Vincenza Maugeri. Questa mostra “ci fa capire come è nell’educazione, nei libri di scuola, nell’insegnamento ai ragazzi che il fascismo costruì le sue politiche razziste e insegnò l’odio per gli ebrei e il disprezzo dei diversi, così come hanno sempre fatto tutti i regimi totalitari”, ha sottolineato questa mattina il presidente del Museo Ebraico di Bologna Guido Ottolenghi, intervenuto assieme al presidente della Comunità ebraica della città Daniele De Paz all’inaugurazione della mostra promossa dal Museo assieme alla Fondazione Ambron Castiglioni di Firenze e all’ente Indire e che ha ricevuto il patrocinio, tra gli altri, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Tra gli appuntamenti legati all’apertura della mostra, inaugurata dalle curatrici questo pomeriggio, l’intervento di Antonio Faeti, storico della letteratura per l’infanzia, dal significativo titolo “Il terrore a quadretti: breve analisi di una cupa stagione”.
Di seguito il testo integrale dell’intervento del presidente del Museo Ebraico di Bologna Guido Ottolenghi.
Autorità, cittadini, amici, apriamo oggi le iniziative per la XV Giornata della Memoria. Essa fu infatti istituita nel 2000 e da quindici anni noi del Museo, insieme alla Comunità Ebraica, alle Autorità e a molti cittadini sensibili, ci ritroviamo per proporre iniziative che aiutino il mantenimento della memoria e la comprensioni dei meccanismi che possono portare alla persecuzione e alla perdita dei valori fondamentali della civile convivenza. Alcuni hanno voluto concentrare queste iniziative in slogan ricchi di pathos come: “Mai più!”. Io ho sempre cercato, sia occupandomi della Comunità che del Museo, di trovare occasioni di approfondimento dei temi della memoria, e di ricavarne insegnamenti utili per l’attualità. Oggi, dopo gli attentati del 7 e 9 gennaio a Parigi contro la rivista satirica Charlie Hebdo e contro la comunità ebraica, credo che alcune riflessioni scomode siano obbligatorie:
Nello stesso anno di istituzione della giornata delle Memoria, il 2000, molti autorevoli politici sfilavano nelle strade d’Europa paragonando Gaza ad Auschwitz, questo si è ripetuto molte volte in seguito, rendendo sterili sia i tentativi di comprendere la Shoah sia quelli di ragionare sul conflitto mediorientale;
Nei medesimi anni, in tutta Europa sono aumentate le azioni di odio e assalto agli ebrei e alle istituzioni ebraiche: oltre il 90% di tali assalti è frutto di antisemitismo islamico, che si è affiancato ed ha superato quello neo-nazista, che pure sussiste;
Il negazionismo dell’Olocausto, un tempo in Europa proprietà intellettuale pressoché esclusiva dell’estrema destra, oggi fiorisce nel mondo islamico ed è un dogma del fondamentalismo, ripetuto sia dall’Islam sciita iraniano, sia da quello sunnita arabo, che nella stessa frase negano l’Olocausto, auspicandone al contempo un secondo con la distruzione d’Israele;
Sempre in questi anni sono stati dissacrati cimiteri, incendiate scuole e sinagoghe, uccisi studenti all’uscita da scuola ebraiche, aggredite persone in strada perché visibilmente ebree, si può gridare morte agli ebrei nelle strade europee restando impuniti, e molti ebrei lasciano l’Europa per Israele, rassegnati all’idea che l’antisemitismo non muore mai. Tutto ciò malgrado la Shoah, le leggi e 15 anni di Giornata della Memoria;
Esiste un vivo dibattito sul ruolo della Chiesa durante la Shoah, che lasciamo agli storici, ma è pensiero condiviso che l’antisemitismo europeo si sia nutrito anche del cosiddetto “insegnamento dell’odio” insito nella dottrina della Chiesa sugli ebrei: dagli anni 1950 la Chiesa ha fatto uno straordinario sforzo per riflettere e approfondire la fondatezza teologica di questo tipo di insegnamenti, e con la dichiarazione Nostra Aetate ha posto le basi per una diversa e meno preconcetta sensibilità del mondo cristiano verso gli ebrei e le altre fedi;
Un percorso simile all’interno dell’Islam è solo agli inizi, e pochi individui coraggiosi ma isolati contestualizzano i testi religiosi offrendo interpretazioni che consentono la pacifica convivenza. Per contro tale processo in occidente si è consolidato nei secoli, anche se non c’è conquista umana che sia raggiunta una volta per tutte. I libri di testo e le prediche religiose nelle moschee spesso contengono ancora la dimensione dell’incitamento all’odio, e il potente disprezzo per l’infedele è pervasivo: tale concetto nega la natura umana dell’avversario, e per chi è religioso nega che il prossimo sia anche lui a immagine divina. Questo metodo non è prerogativa dell’Islam, e anzi proprio l’occidente ha molte volte utilizzato l’odio per l’infedele. Tuttavia secoli di violenza e di sofferto dibattito culturale lo hanno felicemente depotenziato ed emarginato in Europa.
Oggi al Museo Ebraico di Bologna inauguriamo la mostra “A lezione di razzismo”. Essa ci fa capire come è nell’educazione, nei libri di scuola, nell’insegnamento ai ragazzi che il fascismo costruì le sue politiche razziste e insegnò l’odio per gli ebrei e il disprezzo dei diversi, così come hanno sempre fatto tutti i regimi totalitari. Ma il suo insegnamento è di costante attualità: cosa insegnano quanto a tolleranza e rispetto del prossimo i libri di scuola siriani? Cosa predicano gli imam in Libia o in Pakistan, o anche in molte città europee? Oggi potremmo proporre una mostra del tutto simile sull’insegnamento dell’odio per gli ebrei in vaste aree geografiche. E nei nostri libri di testo, quelli che insegnano la storia contemporanea e i conflitti di attualità, cosa scriviamo? Da settant’anni spieghiamo tutto col colonialismo, le colpe delle potenze occupanti, il diritto al vittimismo del resto del mondo e poco altro. Questo ha cresciuto anche in occidente generazioni incapaci di vedere la complessità delle dinamiche politiche in varie parti del mondo, la difficoltà delle società di evolvere da un modello di controllo clericale, che assicura stabilità nella povertà e nell’immobilismo sociale, ad uno basato su qualche forma di separazione tra stato e religione. Tale separazione accresce le opportunità di libertà e benessere, ma rende più precarie le posizioni di rendita e potere consolidate nei secoli, e scatena una ostilità profonda e violenta a ogni libertà. La parzialità ed inefficacia degli insegnamenti nostrani hanno anche costituito la base ideologica per giustificare fiumi di miliardi di Euro che dall’Europa vanno a sostenere tiranni e modelli politici insostenibili, e le reti economiche (o forse si dovrebbe dire onestamente le mafie) che li sostengono. Al contempo neanche qualche milione di Euro va a sostenere il coraggioso e essenziale lavoro culturale che fanno una ammirevole e influente minoranza di imam, pensatori, filosofi e scrittori musulmani.
Gli amanti della retorica da 15 anni nella giornata della memoria dicono “Mai più!”, ma quasi nessuno sa dire quali valori sono irrinunciabili perché non torni il sonno della ragione. Forse “Mai più” sta arrivando. La libertà non è gratis, e ci chiede di pensare, almeno di tanto in tanto, con la nostra testa e non con quella degli altri. Dunque oggi vi invito ad accendere il buon senso e spegnere il senso comune:
Ricordiamoci che la persecuzione degli ebrei è sempre stata nella storia e sarà sempre l’antipasto di orrori più grandi: i Paesi arabi che hanno espulso ed espropriato oltre 800.000 ebrei tra il 1948 e il 1962 hanno poi sostanzialmente eliminato la popolazione cristiana, e alla fine sono i cittadini musulmani a soffrire. Questo non è un caso né un mistero, poiché il messaggio ebraico, incarnato spesso inconsapevolmente, è un messaggio di libertà, di uguaglianza di fronte alla legge e di fiducia nel dibattito come strumento di miglioramento, è un messaggio di modernità: dove questo messaggio è inaccettabile sempre si addensano le nubi della cultura totalitaria.
Chiediamoci onestamente se il conflitto israelo-palestinese è davvero la spiegazione di tutti i mali del mondo, o se è solo un “di cui” di un processo di trasformazione del mondo islamico, la cui soluzione è purtroppo subordinata a un più profondo e lungo percorso sociale e culturale, che finora noi abbiamo ignorato. Chiediamocelo perché alla presunta centralità di tale conflitto è associata una generale ostilità per gli ebrei fondata sul rifiuto della legittimità di Israele.
Chiediamoci se il conflitto di civiltà è l’unico esito possibile della situazione che viviamo oggi, o se la cultura può offrire risposte pratiche.
Il nostro Museo è stato, e spero continui ad essere, uno dei luoghi di confronto interreligioso. Abbiamo buoni rapporti con una parte della comunità islamica e desideriamo approfondirli e ampliarli, vogliamo capire nel variegato mondo dell’Islam qual è l’immagine dell’ebreo. Pur con le nostre limitate risorse vogliamo coinvolgere pensatori di frontiera che ci aiutino a ricordare le sfide e le difficoltà affrontate in occidente nel passare da società a controllo clericale a società aperta, e a valutare se sono percorsi almeno in parte utili al mondo musulmano. Oggi non ci sono europei che si imbarcano a migliaia clandestinamente per andare nella sponda sud del mediterraneo, e se il flusso è inverso è perché le persone consciamente o inconsciamente fuggono da un modello economico e sociale talmente insopportabile da far loro affrontare grandi rischi. Arrivati in occidente alcuni hanno soddisfazioni, altri delusioni, e tutti devono comunque affrontare il tema della propria identità, e della convivenza nel proprio animo di identità multiple, che è tipico della modernità. Anche se ciò non è facile e forse genera rigetto, penso che pochi desiderino ricostruire per i loro figli in occidente il modello sociale e religioso da cui sono fuggiti. Vi è dunque spazio per la cultura, per l’approfondimento, purché si chieda sempre e con fermezza, [fuori e dentro al mondo islamico], che si isoli e poi si spenga l’insegnamento dell’odio.
Questo credo che si dovesse dire oggi per evitare che la Giornata della Memoria sia un rito stanco.
(25 gennaio 2015)