Soggetti e non oggetti
A volte mi chiedo io stessa perché lo faccio. Mesi di lavoro, dormendo poche ore per notte. La responsabilità di una macchina così complessa, non solo senza essere pagata, ma rimettendoci anche di tasca mia, la paura che fino all’ultimo qualcosa non vada bene..
Ma sento la necessità, l’urgenza interiore, di testimoniare quello che è successo, in un modo emotivo, non retorico, di ridare vita a quelle persone, ai nostri morti, non solo in quanto vittime di qualcosa di inevitabile, ma come individui unici, creativi, farli uscire dall’anonimato, dall’essere un numero, non quello tatuato sul loro polso, ma anche quello sotto il quale sono ricordati storicamente: tanti morti, tanti bambini, tanti polacchi, tanti italiani..
L’ idea che mi muove, e che ho ereditato da mio padre, fondatore in tutto il mondo di centri per lo studio della cultura ebraica, è che noi ebrei non dobbiamo essere conosciuti come vittime, ma per la nostra cultura, i nostri valori i nostri talenti. Tornare a essere soggetti, non gli oggetti in cui l’odio degli altri ci ha trasformati e ci trasforma.
Il concerto è un modo di testimoniarlo, restituendo a questi musicisti la loro identità artistica e umana.
Viviana Kasam
(26 gennaio 2015)