Qui Roma – La fine dell’orrore

pezzetti mostra vittorianoChi immagina la liberazione dei campi di sterminio nazisti come un gioioso momento di festa dovrà ricredersi.
Aperti i cancelli, sorpassata la diabolica scritta che invita a lavorare per essere liberi, la visione è devastante: come gioire quando si pesa poco più di trenta chili e si ha sulle spalle il grave senso di paura, di morte, di umiliazione?
Con questo spirito ieri è stata inaugurata al Complesso del Vittoriano la mostra “La fine dell’orrore. La liberazione dei campi nazisti” realizzata dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma con il supporto della Comunità ebraica locale e la collaborazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, la Regione Lazio e Roma Capitale e che sarà possibile visitare fino al 15 marzo.
A dare il benvenuto ai numerosi visitatori accorsi, il presidente della Fondazione Leone Paserman: “La mostra che vedrete oggi è stata fortemente voluta dalla Fondazione e conferma il sodalizio creato da anni con il complesso del Vittoriano. Perché è tanto importante? Perché, come ha detto il presidente della Repubblica Pietro Grasso, dobbiamo ricordare quello che è avvenuto anche il giorno dopo il 27 gennaio e quello dopo ancora. Quello che si propone la Fondazione è di creare un museo attivo, che celi di più oltre le teche e che diventi un vero e proprio centro di studi”.
L’assessore di Roma Capitale Giovanna Marinelli conferma il proposito e informa che la città offrirà per l’intera settimana iniziative legate alla Memoria. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, prendendo la parola, spiega come sia fondamentale educare sulla Shoah stimolando la coscienza soggettiva di ogni ragazzo. Il ministro ha poi elogiato gli studenti vincitori del concorso promosso dall’UCEI “I giovani ricordano la Shoah” che hanno visto le loro opere esposte all’interno del complesso del Vittoriano.
franceschini mostra vittorianoA dare inoltre il suo saluto il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini: “Mostre di questo tipo sono sempre più importanti perché con il passare degli anni il numero delle persone che hanno vissuto la guerra si assottiglia. Dobbiamo far di tutto per trasmettere alle nuove generazioni il dramma della Shoah. Proprio per questo credo sia fondamentale che le esposizioni abbiano il nostro supporto. Come credo sia giusto che il vagone posto fuori dalla mostra dedicata a Primo Levi a Torino resti fino alla fine della stessa esposizione”. Franceschini ha dunque ribadito il messaggio dopo le polemiche generate dal vagone, ‘accusato’ di non sposarsi bene con le architetture fuori da Palazzo Madama e che doveva dunque essere rimosso dopo solo due settimane.
“Sono inoltre tornato da Cremona – conclude Franceschini – dove ho appreso la storia di un violino speciale, quello appartenuto a Maria, morta nei campi di concentramento, e affidato al fratello Renzo che invece si è salvato. Lo strumento è stato ritrovato dopo infinite peripezie e riportato alla luce in tutto il suo valore storico e culturale”. (Per saperne di più clicca qui)
Il direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah Marcello Pezzetti, che aveva anticipato a Pagine Ebraiche il lavoro compiuto, guida dunque il pubblico attraverso le sale della mostra, seguito anche dall’ambasciatore d’Israele Naor Gilon, dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, dall’assessore con delega alla Memoria dell’UCEI Victor Magiar e dai Testimoni della Shoah Sami Modiano, Andra e Tatiana Bucci.
Un percorso doloroso che a partire dalle modalità con cui i nazisti perpetravano morti di massa e morti individuali, ripercorre il durissimo processo di liberazione dai campi.
Nelle teche ci sono divise consunte, valigie deformate dal tempo, piccoli oggetti di uso quotidiano dei deportati come pettini e occhiali. Ma anche anellini di latta fatti con materiali di fortuna.
Si ricostruiscono storie di singoli come Sion Burbea, ebreo tripolino deportato a Bergen Belsen e sopravvissuto o Nathan Cassuto rabbino capo di Firenze e oculista, morto probabilmente il 22 gennaio del 1945.
Le terribili vicende degli ebrei italiani deportati si incrociano poi con mappe realizzate per essere lette dagli studenti delle scuole e immagini crude, come il video del documentario realizzato da Alfred Hitchcock riproposto integralmente.
Ci sono poi approfondimenti su campi italiani come la Risiera di San Sabba e informazioni sulle sorti dei deportati politici.
Una mostra a sfondo nero che si conclude con le voci registrate dei sopravvissuti che guidano verso l’uscita: “Cosa mi è rimasto di Auschwitz? Il senso di fame”, “Nella mia vita sono diventato ricco, ma l’esperienza che ho vissuto mi ha condannato a sentirmi povero per sempre”.

Rachel Silvera @rsilveramoked

(28 gennaio 2015)