Qui Torino – In ricordo di Anna e Natalia
Tra le varie iniziative promosse in occasione del Giorno della Memoria, la sala Conferenze del Museo Diffuso di Torino, ha organizzato un incontro dedicato a due donne sopravvissute all’orrore dei campi: Anna Cherchi, deportata politica in quanto partigiana combattente e Natalia Tedeschi, deportata perché ebrea.
Si tratta di due donne ‘resistenti’ e questo aggettivo non viene apposto a caso come un semplice epiteto: internate, seviziate, esposte a freddo, lavori forzati, fame, sono riuscite a non soccombere, prima di tutto mentalmente e poi fisicamente, cercando di non farsi annientare dal nemico.
Hanno fatto ritorno a casa e dopo un lungo ed estenuante silenzio, hanno trovato una nuova forza, o meglio resistenza, per raccontare la loro esperienza, facendosi così portavoci di tutti coloro che dai campi non fecero ritorno.
Anna e Natalia sono scomparse rispettivamente nel 2006 e nel 2003. Nel corso della loro vita hanno rilasciato numerose interviste e hanno collaborato con le scuole, accompagnando direttamente gli studenti nei luoghi della Shoah. A presentare queste due emblematiche figure sono Barbara Berruti, vice Direttore di Istoreto, Istituto Storico della Resistenza, Lucio Monaco e Maria Chiara Avalle, due insegnati e storici che hanno preso parte al Progetto Memoria.
“La nascita del Giorno della Memoria – spiega Barbara Berruti – è fortemente intrecciata con il valore della testimonianza. Tuttavia bisogna sottolineare le pochissime attenzioni che la società ha rivolto ai sopravvissuti negli anni del Dopoguerra. I deportati tacciono per lungo tempo. Una svolta si ha nel 1959 quando a Palazzo Madama viene inaugurata la prima mostra sui campi di sterminio. Una giovane studentessa, dopo aver visto la mostra, invia una lettera a Specchio dei Tempi, chiedendo se davvero ciò che si vedeva alla mostra fosse vero. A rispondere a questa lettera non è nient’altro che Primo Levi, erano quindici anni che aspettavano questa domanda”.
Il silenzio era stato rotto e il desiderio di conoscenza spinge i testimoni a uscire dall’ombra e dalla paura di raccontare. Sarà Bruno Vasari, uno dei primi testimoni della Shoah, a sottolineare la necessità di creare delle fonti, così propone di intervistare 4000 superstiti. Il progetto va in porto solo nel 1981, ma in scala molto ridotta: parlano 219 deportati residenti in Piemonte, di cui 30 erano donne. Le interviste sono state fatte da giovani studenti, gli ascoltatori per eccellenza, e questo ha dato una maggior fiducia agli intervistati.
Racconti che hanno valore storico, oltre che emotivo che si fa ancora più grande a settant’anni dalla liberazione di Auschwitz, quando ormai i testimoni oculari non sono più molti.
Barbara Berruti prosegue ponendo l’accento sulla condizione delle donne, in particolare le prigioniere politiche, che hanno dovuto fronteggiare oltre al rifiuto dell’ascolto, anche un imponente giudizio morale e sessuale. Tra le testimonianze delle donne sopravvissute si possono riscontrare temi ricorrenti come il rapporto tra guerra e deportazione, l’attenzione per il corpo, i rapporti con le altre internate, la sessualità, le malattie.
Anna Cherchi viene deportata in quanto membro attivo della Resistenza: la scelta di entrare a far parte dei partigiani combattenti è legata alla sua stessa sopravvivenza. Ma durante un rastrellamento decide di farsi arrestare per risparmiare il fratello e nella vana convinzione che, in quanto donna, avrebbe subito un trattamento minimamente meno cruento.
Nel corso della conferenza vengono proiettati alcuni frammenti dell’intervista video fatta ad Anna: le viene chiesto di parlare dell’arrivo al campo: “Semplicemente indescrivibile. Non capivamo dove eravamo finite. Vedevamo scheletri che tiravo altri scheletri su dei carri”.
Lucio Monaco spiega il Progetto Memoria, nato con l’intento di coinvolgere direttamente studenti e testimoni in un viaggio nei luoghi cardine della Shoah. Il primo viaggio viene organizzato nel 1999. Un altro viene fatto nel 2001 a cui prendono parte sia Anna Cherchi che Natalia Tedeschi.
Lucio Monaco descrive l’arrivo al campo questa volta di Natalia Tedeschi, ma lo fa attraverso le parole della cugina, Giuliana Tedeschi, che descrive l’evento nel suo libro “C’è un punto della terra…: una donna nel Lager di Birkenau”. Giuliana è ad Auschwitz e sente che è arrivato un convoglio dall’Italia: “Entrai con animo sospeso nel blocco dove erano alloggiate le ultime donne arrivate” e si trova davanti Natalia “alta e fiorente”. Il contatto fisico precede il riconoscimento verbale. “Non potevo parlare, la mia consapevolezza mi opprimeva”.
Maria Clara Avalle prende la parola e racconta del primo incontro che fece con Natalia Tedeschi, a cui seguì poi l’intervista.
“Si tratta del passaggio delicatissimo dalla testimonianza diretta alla parola scritta”, spiega Avalle. Ricorda l’estrema forza del suo dire e riporta alcuni passaggi dell’intervista: “La mia mamma non aveva ancora cinquant’anni, mi è stata strappata via. Quando ho saputo che mia mamma e mia nonna erano passate per i camini, ho pianto per un giorno e una notte. Da allora non so più piangere”.
Cosa rimane oggi a settant’anni dalla liberazione di Auschwitz della trasmissione diretta della Memoria? Cosa succederà quando si sarà estinto l’ultimo testimone? Dai ricordi si passa ai ricordi di quei ricordi ed è in questo passaggio che la memoria personale deve necessariamente e istantaneamente diventare collettiva. Certo, in questo passaggio qualcosa va perso, ma va compensato pensando che il Giorno della Memoria è un giorno che cambia, dobbiamo cercare nuovi registri per la testimonianza, chissà se quello dell’audiovisivo qui presentato riuscirà a farsi carico di un messaggio così delicato. Ma d’altronde affinchè il ricordo giunga al presente, dobbiamo tener conto del tempo che scorre.
Alice Fubini
(28 gennaio 2015)