I fatti di Parigi visti da un ottuagenario

ishot-374Le tragedie svoltesi a Parigi nei giorni scorsi hanno richiamato alla mia mente fatti lontani e riflessioni su tempi vicini.
Premetto che, per motivi anagrafici, non ho bisogno di leggere sui libri di storia cosa avvenne durante la Shoah: c’ero e l’ho vista. Per grazia del Signore la mia famiglia è sfuggita alla Shoah con peripezie che hanno fatto oggetto di un libro. Ma non è di queste che voglio parlare, bensì dei pensieri che gli attacchi in Francia hanno suscitato in me, sfuggito alla Shoah.
Per la prima volta da allora è stata chiusa una sinagoga, la Grande Sinagoga di Parigi, e non è stato officiato il servizio serale di ‘Arvit. Decisione drammatica quanto coraggiosa. Nell’ottobre 1943 i dirigenti dell’ ebraismo italiano, Dante Almansi e Ugo Foà, a Roma, entrarono in conflitto con il rabbino capo di Roma, Italo Zolli, di origine polacca e buon conoscitore dei tedeschi, che sosteneva la necessità di sospendere le Tefillot, chiudere il Tempio e nascondersi. Prevalsero Almansi e Foà e il sabato 16 ottobre avvenne quello che ben sappiamo. Certamente non ci fu dolo, ma assoluta, gigantesca, incapacità di capire gli avvenimenti! Dopo 70 anni (e tanti morti) i dirigenti comunitari hanno capito. Ma c’è di più: adesso c’è un primo ministro di uno Stato ebraico che può venire a sfilare alla testa dei francesi, su un piede di parità con i colleghi degli altri Stati d’ Europa, per condannare e respingere il terrorismo antiebraico. Non solo, ma assicura la protezione di Israele a tutti gli ebrei e li invita, per maggior sicurezza, a fare l’aliyah. Per me che, da bambino, per sfuggire ai tedeschi, insieme alla famiglia, fui costretto a cambiare cognome e a fingermi cattolico, andando tutte le domeniche a messa, è stata una visione surreale. È chiaro: purtroppo, siamo di nuovo in guerra: una guerra diversa, ma non meno dura e micidiale, ma questa volta abbiamo chi ci difende con decisione e competenza.

Roberto Jona

(29 gennaio 2015)