Il potere delle idee, le parole di Miki Bencnaan
“Il mio primo incontro con Miki Bencnaan è avvenuto all’aeroporto di Tel Aviv. Ero dentro la libreria in attesa che il mio volo partisse e ho agguantato il suo volume ‘Il grande circo delle idee’. Dopo le tre ore sospeso nel cielo l’avevo già capito: avrei pubblicato quel libro. Rintracciarla è stato più facile del previsto; nell’ultima pagina dell’opera è stata inserita una lettera al lettore con un indirizzo e-mail per contattarla, così le ho scritto”.
A parlare è Shulim Vogelmann, editore di Giuntina, che ieri sera ha accompagnato la poliedrica scrittrice, scenografa e pittrice di Tel Aviv Miki Bencnaan per una serata tra amici e nuove conoscenze.
“Caro Shulim – prende la parola Bencnaan – credo dovrò rinfrescarti le idee. Non hai scritto una e-mail a me, ma a Pinki Hopsa, il protagonista de ‘Il grande circo delle idee’. Infatti l’indirizzo indicato sul libro è proprio il suo: pinki.hopsa@gmail.com. Quando ha ricevuto il tuo messaggio era piuttosto sospettoso, ti ha detto che ne avrebbe dovuto parlare con me. Vi siete persino accordati voi due sui prezzi dei diritti, finché poi tutto si è risolto nel migliore dei modi. Ma quello che voglio spiegarti, è che te per due mesi non ti sei scambiato e-mail con Miki Bencnaan ma con un personaggio letterario. Questo perché? Perché in fondo noi siamo il concetto che ci facciamo di noi stessi, noi siamo l’opera di noi stessi, siamo una macchina che crea il mondo”.
Non poteva esserci presentazione migliore per introdurre Miki Bencnaan, l’artista alla quale Pagine Ebraiche ha dedicato un grande servizio nel numero di settembre, e che ieri è arrivata in un salotto con una ventina di persone giunte in suo onore, indossando un orecchino diverso dall’altro, una fascia che le fermava i lunghi capelli che ricadevano sbuffanti pronta per rendere un po’ meno solide le certezze del suo pubblico.
“Quando si promuove il proprio libro – spiega – c’è una grande legge da rispettare: quella di mettere di buon umore le persone che sono venute ad ascoltare, solo così le convincerai a comprare qualcosa. Io però commetto un grosso rischio, perché parlerò di Shoah. E sappiamo bene quanto l’argomento non sia dei più allegri. Inizierò raccontandovi una storia: avevo un amico multimilionario. Era diventato così ricco perché aveva avuto una idea geniale; aveva costruito una macchina progettata per vivere sotto l’acqua che faceva a pezzi i pesci, dividendo gli organi interni da quelli esterni. Era una macchina che funzionava alla perfezione ed era fatta a forma di valle di gigli. Ne ha cominciate a vendere migliaia. Un giorno una coppia di pesci, il signore e la signora Fish, nuotavano placidi. Avevano tutti i 500 figli al campo estivo e si godevano la loro intimità. Ad un certo punto videro una valle di gigli. Amavano molto i gigli perché ricordavano loro tanti momenti felici. Si avvicinarono e non capirono che quella era la macchina del mio amico che li fece a pezzi dividendo gli organi interni e gli esterni e portandoli direttamente al banco del supermercato attraverso dei tubi. Ma perché nessuno ha detto nulla? Chi ha deciso che i pesci sono cibo? Chi ha deciso che i signori Fish dovessero diventare merce prendendo i loro organi ed il loro amore? Noi non abbiamo dubbi che essi siano cibo perché è da talmente tanto tempo che la pensiamo così che questa idea si è radicata in noi”.
La storia cambia e Miki Bencnaan fa scorrere su uno schermo immagini di Hitler, dei nazisti, dei milioni di ebrei strappati dai loro figli, dai loro beni, dal loro amore, uccisi. E ripete le stesse domande: “Perché nessuno ha detto nulla? Chi lo ha deciso e come sarebbe se accadesse adesso? ”
E sullo schermo appaiono inquietanti una pila di scarpe moderne, stiletti, sneakers e poi degli occhiali con la montatura nera un po’ da hipster ed infine una montagna di smartphone, computer, I-pad.
“Questo per farvi capire come la forza delle idee possa distruggere qualcuno. Dopo i giorni dedicati alla Memoria, giorni nei quali ci sentiamo tutti più intelligenti, chiediamoci: come sembrerebbe adesso?”.
La scrittrice racconta poi la propria testimonianza come figlia di genitori scampati alla Shoah: “Sono una della seconda generazione. La mia casa era piena di spiriti, spiriti dei centinaia famigliari morti per mano di Hitler. Alle volte questa famiglia allargata di gente scomparsa è bella: non si mettono di certo a discutere con te e diventano esattamente come li vorresti. Ho due amiche, ogni sabato mattina ci vediamo per un caffè. Anche la loro famiglia è stata deportata e mentre parliamo facciamo dello humour nero terribile. Siamo al tavolo circondate da centinaia di spiriti e ricordiamo le famiglie che non abbiamo mai avuto. Ok, ovviamente è meno tragico di quel che sembra. Credetemi”.
“Preferisco – prosegue – non utilizzare il termine Shoah, ma parlare di assassinio di massa degli ebrei in Europa negli anni ’40. Mi sembra che sia più specifico e che appaia meno come un fenomeno strano e lontano. Di questo assassinio noi dobbiamo indagare in profondità, non come ebrei ma come esseri umani. Siamo tutti un unico corpo e 70 anni fa un organo ha attaccato un altro organo dello stesso corpo. Non indaghiamo abbastanza, ci facciamo incastrare da nomi poetici come ‘La notte dei cristalli’ senza studiare quello che è avvenuto in quella fantomatica notte”.
Bencnaan continua: “Noi non dobbiamo esser né insegnanti né giudici ma ricostruire pezzo dopo pezzo una storia che non finiremo mai. Quello che dobbiamo poi capire è che non fu l’indifferenza il problema ma la collaborazione degli altri. Di base ci fu la credenza condivisa da molti che in fin dei conti gli ebrei avevano ucciso Gesù. L’esistenza è priva di significato ed è la religione che tenta di darle un significato ed è proprio in nome di essa e dell’identità conquistata che la gente è pronta a morire. L’ideologia che ha adesso la frangia estremista dell’Islam non è certo una novità o una barbarie mai sentita. E il sangue versato oggi ci riporta indietro di 500 anni”.
A concludere, la domanda della scrittrice e collaboratrice di DafDaf Nadia Terranova: “Mi aveva molto colpito la frase riportata nella sua intervista a Pagine Ebraiche nella quale spiegava che odiava la guerra perché quando c’era la guerra mangiava per nervosismo e che di conseguenza ingrassava. Questo humour nero legato al discorso di oggi mi hanno fatto pensare… Lei crede che l’umorismo abbia dei limiti?”
“L’umorismo – dice Bencnaan – dovrebbe essere di default anarchico e superare i confini. Non deve cancellare il dolore e le difficoltà ma le deve far rielaborare. Vi racconterò una cosa: io vado ogni sera nello stesso bar a lavorare. Fino a mezzanotte gli altri scrittori ed io parliamo del più e del meno. All’una iniziamo a lavorare, alle due facciamo colazione, alle quattro di notte pranziamo e così via. Il 20% di noi ha la mia età, il resto è un gruppo di giovani trentenni. Questi trentenni sono fantastici per un mucchio di cose, ma di Storia non sanno davvero nulla. Allora durante il Giorno della Memoria noi li mettiamo alla prova e giochiamo a ‘nomi cose e città’ con parole significative della Shoah: A come Auschwitz, B come Bergen Belsen” e Bencnaan inizia a mettere alla prova il suo pubblico in un gioco lugubre che lascia una malinconia dolciastra eppure terribilmente viva.
Ma una voce si solleva dal pubblico e lascia sospesa la serata con una domanda: “Noi siamo pronti per tutto questo? Ne siamo già in grado?”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(1 febbraio 2015)