Heidegger e gli ebrei

tiziana della roccaChe il presidente Mattarella abbia sentito l’impellenza di recarsi alle Fosse Ardeatine come primo atto della sua presidenza, a ridosso del Giorno della Memoria, dice di quanto l’ondata di antisemitismo, razzismo e fanatismo pervada l’Europa. Mattarella ha voluto trasmetterci di non dimenticare quel che è successo e neppure quel che sta succedendo: di macabre fosse potrebbe essere pieno anche il presente.
Occorre impedire che si ripetano i tragici anni di quando in Germania in particolar modo gli ebrei furono considerati corpi estranei da eliminare: minano la salute, avvelenano le salde radici e fanno crollare immensi alberi genealogici.
Una vecchia storia in Germania: già nell’epoca in cui l’illuminismo si riversava nel romanticismo gli ebrei erano esclusi dalle grandi costruzioni teoriche della politica e del pensiero, rappresentandone l’irriducibile antitesi. Di questa ostilità presente nei più raffinati pensatori tedeschi ha scritto di recente Donatella Di Cesare in “Heidegger e gli ebrei” (Bollati Boringhieri). La stessa diaspora del popolo ebraico, la pretesa di esistere in terre ostili, il piegarsi al potere senza per questo rinunciare a coltivarsi, innervosirono i più liberali e dotti tra i germanici, religiosamente dediti, nella filosofia come nella prassi, all’unificazione del territorio e dello spirito. Schiavi del loro febbricitante attivismo, pronti a risorgere da ogni disfatta con una spudoratezza offensiva, gli ebrei risultano intollerabili.
Kant e Fichte aprirono per primi le ostilità e nella “Fenomenologia dello spirito” Hegel fu perentorio; che dire di un popolo portatore della Promessa che dinanzi la porta della salvezza non l’oltrepassa mentre tutti gli altri popoli l’hanno varcata? Un popolo che caparbiamente si autoesclude dalla storia umana, quanta ostinazione! Negli ebrei o piuttosto in chi li accusa? Se i filosofi si fossero chiesti il perché di una tale ostilità, sarebbe emersa la causa: secoli e secoli di maldicenza. Invece anche il più illuminato e tollerante tra di loro si accontentò della vulgata, del luogo comune, dello stereotipo ignorando che al di là di esso vi fosse tutto un mondo. Poco onorevole per un filosofo.
Un secolo dopo, Heidegger nei suoi Quaderni neri rincarerà la dose: gli ebrei sono responsabili dell’oblio dell’essere. Heidegger come tutti gli altri filosofi? Ci sono delle differenze, delle aggravanti. Innanzitutto per un po’ di tempo dopo aver letto il “Mein Kampf” celebrò Hitler, rintracciandovi il compimento della filosofia dell’essere. Entrambi identificarono il bolscevismo e il capitalismo nell’ebreo, con la differenza che Heidegger mai avrebbe concepito lo sterminio. Ruppe coi in nazisti ma non con l’antisemitismo. Pensare che mai come in quei tempi gli ebrei si produssero in una serie di opere letterarie, scoperte scientifiche, Freud creò la psicoanalisi e Heidegger stesso ebbe rapporti molti stretti con gli ebrei all’interno della sua università; il suo maestro Husserl era ebreo.
Eppure per lui erano bruttezza e degenerazione, infiltrati che contaminavano lo spirito tedesco, che addirittura cospiravano contro tutta l’umanità. E dopo la guerra non riconobbe mai l’unicità dello sterminio; assieme a tanti altri massacri lo disse causato dal predominio della tecnica che ha disumanizzato l’uomo. In un tragico contrappasso, della funesta tecnica gli ebrei ne subivano le conseguenze, a riprova, credé Heidegger, della verità del suo pensiero.
Heidegger fu irremovibile. Dopo la guerra probabilmente continuerà a credere che gli ebrei privi di radici sradicano l’umanità, e i tedeschi siano il popolo predestinato all’Essere anche se hanno aderito in massa al nazismo. E lo continuerà a credere, visto che nemmeno ha cancellato dai Quaderni neri quei passi di cui tanto si parla oggi, destinandoli ai posteri.

Tiziana Della Rocca

(3 febbraio 2015)