Tu biShevat – Che specie vegetali usare

tu bishvatRosh Hashanà Lailanot in origine era solo una data termine: finiva un anno e ne iniziava un altro.
E questo serviva per precisare l’osservanza di alcuni precetti ‘agricoli’: quando portare i prodotti agricoli al Santuario, come misurare il divieto di mangiare i frutti prodotti nei primi tre anni e così via. Strappati dalla Terra di Israele, l’osservanza di questi precetti divenne impossibile e di conseguenza la celebrazione di questa ricorrenza perse significato pratico. E quindi Rosh HaShanà Lailanot cadde in disuso. Ma a partire dal 16° secolo i cabbalisti di Safed ne riattivarono la celebrazione, in un modo coerente con la mancanza del Santuario, diffondendo tra le Comunità del mondo un ‘Seder’ specifico per questa ricorrenza.
Al centro di questo Seder ci sono le sette specie della Terra d’Israele.
Occorre notare che la Torah spesso parla ‘per mezzo’ delle specie vegetali. Per ogni ricorrenza od occasione c’è un assortimento di specie vegetali diverso e i nostri Maestri si sono soffermati sulle differenze per trarne indicazioni e simbolismi diversi. Oggi ci sembra un metodo strano e artificioso, ma non bisogna dimenticare che due/tre millenni fa la vita di tutti era basata esclusivamente sull’agricoltura e sulle piante. L’indicazione di una specie piuttosto che un’altra evocava, senza bisogno di alcuna spiegazione, pregi e carenze di quella specie, rischi e difficoltà nella sua coltivazione.
Ed i concetti simboleggiati dalle diverse specie apparivano chiari ed evidenti agli occhi degli agricoltori nostri antenati. Non è possibile in questa sede addentrarsi nel significato diverso dei vari assortimenti, ma, solo per citare un piccolo esempio, tutti ricorderanno che le quattro specie utilizzate recentemente per Sukkot sono associate all’uomo, alle sue parti del corpo e/o a abitudini pregevoli o peccaminose dell’essere umano.
Le sette specie sono citate nel libro di Devarim a proposito della Terra d’Israele che viene definita “un paese di frumento e di orzo, di viti, di fichi, melograni, di olive da olio e di miele (è stato interpretato come palma da datteri i cui frutti spremuti a maturazione danno una pasta dolce, appunto come il miele)” (Deuter.8:8). Il richiamo a questo passo della Torah ha dato un senso eminentemente agricolo e nazionale alla ricorrenza e alla sua celebrazione. Nella Torah vengono promessi al popolo che vaga nel deserto questi prodotti ed in particolari i frutti di questi alberi che in buona parte erano poco o affatto conosciuti in Egitto. Ma poco prima (Deut.8:6,7) è detto: “Osserverai dunque i precetti del Signore tuo Dio, percorrendo le Sue vie e venerandolo, poiché Iddio ti porterà in una terra buona, in un paese irrigato da corsi d’acqua, dove sorgenti e acque sotterranee sgorgano a valle e a monte”. Il richiamo a queste 7 specie durante la celebrazione di Tu-Bishvat è quindi un richiamo generale ad una condotta corretta per meritare il ritorno nella Terra Promessa ai nostri Padri.
Una Terra buona che può nutrirci e darci sostentamento e benessere per il tramite di questa produzione agricola articolata e completa. Una sorta di Sionismo “ante litteram” che ha sempre caratterizzato i riti del nostro Popolo ed in special modo quello di Pesach (“l’anno prossimo a Gerusalemme”). Interessante è l’analisi climatologica della Terra di Israele che troviamo nel trattato talmudico Babà Batrà (147a) che sottolinea gli effetti benefici sull’agricoltura dei venti dominanti, purché arrivino nella stagione appropriata. Il vento da nord-ovest, in primavera, è benefico fino a quando il frumento non ha raggiunto un terzo della sua maturazione, ma è dannoso per gli olivi quando sono in fioritura, prima dell’impollinazione. Infatti si tratta di un vento fresco che attraversando il mare si carica di umidità che rilascia sui campi sotto forma di pioggia, secondo la promessa del Signore: “è un paese di monti e di valli che viene irrigato dalla pioggia del cielo” (Deut. 11,11).
Il vento opposto da sud-est provenendo dal deserto, aumenta la temperatura, ma è secco. Per essere utile deve essere moderato: allora scalda e favorisce la crescita e la maturazione delle olive, della vite, delle palme da datteri e del melograno.
Ma guai se soffia troppo forte e troppo presto, prima che nel frumento si sia sviluppato l’amido (= farina): il granello resta vuoto e il raccolto manca. Era l’incubo nei sogni del Faraone: “Spuntarono sette spighe sottili, disseccate dal vento orientale” (Gen.41:6). Interessante è che questa delicato equilibrio meteorologico era visivamente rappresentato nel Santuario ponendo il tavolo (sul quale venivano posati i pani [frumento]) sul lato nord rispetto all’Altare, mentre la Menorà (alimentata con olio) ardeva sul lato sud.
È importante notare che queste sette specie godono di uno status privilegiato nella liturgia ebraica. Le primizie da portare al Santuario a Shavuoth dovevano provenire da queste specie: non era ammesso portare frutti altre specie, anche se maturi in quell’epoca dell’anno. Vedremo in futuro il simbolismo di ognuna di queste specie, ma per il momento ci si può limitare a constatare che i prodotti nati dal delicato equilibrio tra i venti e le piogge, accennato sopra non possono che essere il frutto della benevolenza del Signore promessa nel deserto ai nostri padri, scoraggiando derive idolatriche alternative stimolate dal successo di produzioni diverse.
È quindi ovvio che i cabalisti di Safed nel riprendere la celebrazione di una ricorrenza antica si attenessero rigidamente ai dettami della Torà, e del Talmud per esaltare il legame tra il popolo disperso e la Terra dei Padri.

Roberto Jona

(3 febbraio 2015)