Ticketless – Diversamente

cavaglionNel libro di Levi che ho presentato la settimana scorsa (“Così fu Auschwitz”, Einaudi) è inserita una breve lettera scritta nel 1959 alla figlia di un fascista. Quando la vidi la prima volta una decina di anni fa, mi colpì una frase: “Spero anch’io che il padre della lettrice sia innocente, ed è ben probabile che lo sia, perché in Italia le cose si sono svolte diversamente”. Che cosa intendesse dire Levi con quella frase, torno a chiedermelo ogni volta che apro un libro sulla Shoah in Italia. Una pura coincidenza mi porta a rileggere quel rigo insieme al bel volume di Simon Levis Sullam (“I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945”, Feltrinelli). Un ottimo lavoro, dove si ricostruiscono le vite di coloro che nel nostro paese parteciparono al genocidio degli ebrei. Il libro ha un incipit strepitoso: il concerto alla Fenice di Venezia, 5 dicembre 1943. Mentre il giovane pianista Arturo Benedetti Michelangeli suona, una retata porta all’arresto di centosessanta tra uomini, bambini e donne. Pur non producendo documenti nuovi sul piano archivistico, il lavoro è molto utile per il quadro d’insieme che offre. Ciò che non mi convince del tutto – lo dico in amichevole dissenso – è la conclusione: dall’”era del testimone” saremmo passati all’”era del salvatore” senza passare per alcuna “era del carnefice”. Non mi sembra proprio sia andata così. Da quando esiste la Giornata della Memoria ripetere una frase come quella scritta da Levi nel 1959 significa mettersi dalla parte del politicamente scorretto. Provare per credere. Ammiro la forza evocativa di Sullam, ma non sarei così sicuro come è lui. Nel discorso pubblico sulla Shoah, il carnefice ha la meglio da un pezzo. Dico nel discorso pubblico-giornalistico, perché nella ricerca storica, nei non molti lavori sistematici che sono stati fatti su una singola città (penso per esempio al caso fiorentino, esemplarmente ricostruito per Firenze da Marta Baiardi) la multiforme convergenza di comportamenti che Levi spiega in alcuni suoi scritti maggiori – brutalità, pietà, soprattutto, cinismo opportunistico – spiega il significato di quel “diversamente”.

Alberto Cavaglion

(4 febbraio 2015)