Israele – Netanyahu-Herzog, la sfida si accende
Fare previsioni su come andranno le elezioni in Israele, previste per il prossimo 17 marzo, è impossibile. Il testa a testa tra il Likud guidato dall’attuale premier Benjamin Netanyahu e il duo Yihak Herzog – Tzipi Livni, a capo dei laburisti il primo, dei centristi di Hatnua la seconda, lascia la porta aperta a tutte le opzioni. Forse una scossa potrebbe darla il confronto televisivo tra i leader politici dei vari partiti israeliani che in queste ore Arutz 2, tra i principali canali televisivi israeliani, sta cercando di organizzare. Herzog ha già detto che ci sarà, lanciando la sfida a Netanyahu sui social network: “Quindi Bibi non vuoi discutere con me? Hai paura di me?”, la provocazione del leader laburista all’attuale premier israeliano. “Voglio solo parlare, io e te davanti a tutti i cittadini israeliani – il guanto di sfida lanciato da Herzog – Dopo sei anni, hai niente di nuovo da dire, da presentare? Quali sono i tuoi piani? Quali sono i tuoi piani economici e diplomatici? Perché non parli?”. E Netanyahu, che sembrava inizialmente contrario a partecipare a un confronto televisivo, fa sapere, attraverso il suo entourage, che ci sarà ma il dibattito dovrà essere fatto dopo il suo tanto discusso intervento al Congresso degli Stati Uniti, previsto per il prossimo 3 marzo. Come raccontato negli scorsi giorni, sono state diverse le voci del mondo ebraico a levarsi contro l’opportunità che il primo ministro di Israele tenga il suo discorso in Campidoglio, un discorso che avrà come baricentro le trattative tra Stati Uniti e Iran sul nucleare. Tra coloro che hanno chiesto a Netanyahu un passo indietro, il direttore dell’Anti-Defamation League Abraham H. Foxman, secondo cui parlare al Campidoglio non porterà acqua al mulino israeliano rispetto alla richiesta di Gerusalemme di nuove sanzioni contro l’Iran ma anzi si rivelerà controproducente. Foxman ha detto di condividere le posizioni di Netanyahu sul pericolo dell’accordo Usa con Teheran ma intervenire al Congresso non sarebbe d’aiuto alla causa. D’altra parte lo stesso Foxman ha definito “provocatoria e ripugnante” la campagna portata avanti dal movimento americano Jstreet, gruppo di pressione ebraico, contro il primo ministro Netanyahu e il suo intervento a Washington. “No, signor Netanyahu. Lei non parla per me”, lo slogan di Jstreet in riferimento alle parole di Netanyahu che aveva dichiarato di essere andato a Parigi – alla dimostrazione contro il terrorismo e per la democrazia – “non solo come primo ministro di Israele ma anche come rappresentate di tutto il popolo ebraico” e di andare “ovunque sarò invitato per rappresentare le posizioni di Israele contro chi vuole ucciderci”. Da qui la petizione di Jstreet, in cui si invitano gli ebrei americani a dichiarare che Netanyahu non parla a loro nome. “Cerchiamo di ricordare cosa c’è in gioco – si legge nel duro comunicato dell’Adl contro J Street – prevenire che l’estremista Iran ottenga un’arma nucleare che potrebbe minacciare l’esistenza di Israele. Rispetto a questo obiettivo, Netanyahu sicuramente rappresenta non solo Israele ma anche gli ebrei americani”.
Il primo ministro non ha commentato la campagna di J Street. Intanto, secondo un sondaggio dell’Huffigton Post condotto assieme a YouGov, il 47 per cento degli americani considera la sua decisione di accettare l’invito dei repubblicani a parlare al Congresso come “inappropriata” mentre il 30 per cento la appoggia. Dal sondaggio emerge anche che il 58 per cento degli intervistati pensa che il presidente Usa Barack Obama, fortemente irritato da tutta la vicenda, dovrebbe comunque incontrare il premier israeliano. Ancora da valutare, e si capirà meglio solo dopo il 3 marzo, se la scelta di Netanyahu costituirà un vantaggio o un boomerang per la sua campagna elettorale in Israele.
d.r
(12 febbraio 2015)