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La Parashà di questa settimana contiene moltissime norme e regole che attengono ad ogni ambito della vita, sia sociale, sia giuridica, o cultuale, o familiare. Tutte queste norme sono introdotte dalla frase “We-élle ha-mishpatìm ashèr tassìm lifnehèm”, “E queste sono le norme che porrai davanti a loro”. Rashì, utilizzando un noto Midràsh, rileva che il brano, il capitolo, comincia con una congiunzione; ciò non può essere né casuale, né un errore linguistico o di copiatura. Difatti, spiega Rashì, la congiunzione collega queste norme a quelle date precedentemente: “Come quelle erano state date dal Sinai, anche queste vengono dal Sinai”. In altri termini, non c’è differenza fra le norme esposte in questa Parashà e quelle, ad esempio, del Decalogo: uguale è la fonte, cioè Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, uguale l’obbligatorietà, uguale la gravità in caso di trasgressione.
Tutto ciò sembra abbastanza banale, non meritevole di particolare attenzione; invece, a mio avviso, queste poche parole di Rashì denotano una profonda conoscenza dell’animo umano. Molte delle norme esposte in questa Parashà, benché a tratti assolutamente innovative non solo per l’epoca in cui sono state date ma anche per i giorni nostri (e faccio riferimento a quelle regole che riguardano ciò che oggi amiamo chiamare “previdenza sociale”), sembrano ispirate ad una logica razionale evidente, alla conseguenza necessaria di presupposti logici, e pertanto frutto della razionalità umana più che di una logica divina. Ancora, a prima vista potrebbe non esserci nulla di male: una norma così logica è una norma che sono portato ad osservare volentieri, perché ne capisco e ne condivido la ‘ratio’, e sapere che è di origine divina non aggiunge e non toglie nulla.
Ma non è questo il modo di ragionare dell’Ebraismo. “Come le prime vengono dal Sinài, anche queste vengono dal Sinai”; questo non significa soltanto che l’origine è divina, cosa che ci porterebbe frettolosamente a concludere che anche le mitzwòth sociali vanno osservate perché sono date da Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ e se non le osserviamo “commettiamo un grave peccato”, “il Signore ci punisce” o simili (anche se effettivamente dobbiamo tener conto del giudizio divino in tutto ciò che facciamo, perché è uno stimolo a valutare sempre il nostro operato), bensì che esse muovono dalla stessa logica che ha portato il popolo d’Israele ai piedi del monte Sinai.
Mi spiego. Nella Parashà precedente abbiamo letto: “Voi avete visto ciò che Io ho fatto all’Egitto, e che vi ho sollevato sulle ali delle aquile e vi ho portato verso di Me”. Il motivo di fondo del dono della Torah è, quindi, il rapporto speciale fra D.o ed Israele, come hanno detto i nostri Maestri: “Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ha voluto dare meriti ad Israele, perciò ha moltiplicato per loro insegnamento e mitzwòth…”; ossia, l’osservanza delle mitzwòth è uno strumento per essere più vicini a D.o.
Se questo può risultare di facile comprensione per i precetti del Decalogo, dati sul Sinai in maniera così evidente e spettacolare, se questo lo si può comprendere vedendo le norme di tipo più ‘religioso’, cioè che riguardano più direttamente il nostro rapporto con Lui, se in qualche modo ci arriviamo analizzando quei precetti che sembrano non dipendere da alcuna logica evidente e ci rifugiamo – per comprenderli – nell’idea che osservarli ci fa acquisire meriti davanti ad Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, è facile che la cosa ci sfugga quando i precetti sono di logica evidente, di attenzione al lato umano, sociale.
Saremmo quindi portati ad osservarli, sì, volentieri, ma perché appartenenti alla nostra logica, non come strumento di unione col divino.
È per questo motivo che il Midràsh racconta che Moshè era restio all’idea di spiegare ed illustrare agli Ebrei la logica delle mitzwòth ed avrebbe preferito limitarsi ad illustrarne il modo di esecuzione; tuttavia D.o gli ha imposto di “porle davanti a loro”, ossia di illustrarle al meglio, ma al tempo stesso di insistere che esse dovevano essere osservate per amore di D.o, o meglio, per amore dell’amore da D.o dimostrato ad Israele dando la Torah con tutti i suoi dettagli.
Elia Richetti, rabbino
(12 febbraio 2015)