tzniut…
Da qualche settimana sto affrontando con i miei studenti la questione della modestia, tzniut, ovvero tutto il corpus halakhico e normativo, ma anche morale, relativo al vestirsi, al comportamento, al modo di porsi pubblicamente, valido tanto per gli uomini che per le donne.
Insegnando in una classe dove le prospettive di vita ebraica sono molto diverse, perché alcuni tra i miei studenti hanno scelto di vivere in comunità che vanno dai charedim sefarditi al mondo modern orthodox o datì leumì, sono molte diverse anche le risposte e le richieste halakhiche. Tutto questo in un tema, quello dello tzniut, che è estremamente esposto all’influenza sociale e del tempo in cui viviamo, perché risente molto dell’ambiente nel quale esprimiamo la nostra identità, tant’è che esistono poskim, decisori halakhici, che sin dal 1198 come il Ravad che viveva in Provenza, scrivono: “Oggi qui si usa…”, indicando chiaramente l’esistenza di un forte legame tra società e comportamento.
In sostanza il concetto di ‘abitudine’ occupa non poco posto nel ragionamento halakhico rispetto alla tzniut, ma questo non vuol dire che il fatto che siamo abituati ad una sovraesposizione di poca modestia sia un dato positivo, così come dovremmo riflettere che se, oggi, molti dei dettami sul vestiario sono diventati appannaggio di un mondo religioso, in realtà, ieri, erano patrimonio comune di una educazione condivisa da uomini e donne, ebrei e non. Ovvio che non dobbiamo mai offendere o umiliare nessuno o nessuna imponendo regole assurde in nome di una tzniut ossessiva e compulsiva, molto poco ebraica, ma è altrettanto ovvio che forse dovremmo ripensare all’eleganza di comportamenti e di vestiario che appena ieri salvaguardavano molto vivere civile e molti ambiti di educazione delle nostre società. “Una donna senza borsa non è una signora” tuonava Paola, la nonna di mia moglie, quando la vedeva uscire con uno zaino in spalla.
“Al tempio non accavallare le gambe che non sei in un salotto” imponeva nonno Raul Gallichi. Mai visto mio nonno uscire senza cappello e mai vista mia nonna al mare in costume. E nella Villa Comunale sul lungomare di Napoli (già Villa Reale) fino agli anni del 1920 gli uomini e le donne senza scarpe e cappello non potevano entrare, questo come limite alla presenza dei ‘lazzari’ ma anche come elemento di decoro condiviso, senza il quale sarebbe stato impensabile uscire di casa.
Pierpaolo Pinhas Punturello
(13 febbraio 2015)