Nugae – Il museo che non c’è

fmatalonCi sono certe interviste in cui si capisce subito che l’autore non è al cento per cento convinto dal personaggio che ha davanti. Si percepisce lungo tutto il botta e risposta una specie d’ironia di sottofondo, come un brusio che bisbiglia al lettore di non lasciarsi conquistare troppo. Ecco, questa è esattamente l’atmosfera che avvolge un’intervista di Haaretz a una giovane artista israeliana che vive a New York, Ziv Schneider, ideatrice e curatrice del Museum of Stolen Art. Si tratta di un museo virtuale da visitare indossando una sorta di parallelepipedo di plastica nera, ossia una maschera da realtà virtuale, per ammirare una serie di quadri rubati e mai ritrovati. Nella realtà reale invece il museo non c’è, i quadri non ci sono, la guida che parla non c’è, Bennato e lo spirito anni ’80 si scatenano. Sui finti muri bianchi sono appese e incorniciate finte opere trafugate di Van Gogh da Amsterdam, e una preziosissima di Vermeer, e poi di Monet e compagnia bella, e di Picasso, ma soprattutto molti quadri saccheggiati in Afghanistan e Iraq durante varie guerre. L’idea è venuta a Ziv da un corso universitario in cui gli studenti dovevano inventare un loro museo. “Ho la tendenza a scavare in database particolari, e ho trovato quello dell’Interpol sui crimini riguardanti l’arte. È gratis e vi si può accedere via web, è un elenco molto noioso da consultare ma mi ha fatto capire che esistono opere incredibili che sono semplicemente scomparse”. Quindi, con l’aiuto dell’Interpol e dell’FBI è nato il suo vero museo virtuale e ha avuto anche un bel successo. Ma la giornalista di Haaretz non è ancora stata sedotta, e in effetti oggettivamente un po’ di scetticismo viene. Però se si riesce a scacciare via la puzza sotto il naso, ci sono ben tre elementi che fanno rabbonire. Intanto, il fatto che questa sensibilità al saccheggio di opere d’arte durante le guerre viene a Ziv dall’esperienza di suo papà durante la guerra in Libano. Secondo, la vocazione molto tenero-antichistica e poco assurdo-tecnologica. “Sono ossessionata dagli archivi, e ho pensato a come potesse essere possibile sfruttare la tecnologia per promuovere questioni di ordine pubblico e prevenzione del crimine”. Il che collega con il terzo punto, la missione da supereroe: qualche visitatore potrebbe riconoscere una delle opere scomparse e aiutare a rintracciarla. “Credo di star fornendo un servizio”, ha proprio detto l’artista. E in effetti dev’essere ben antipatico parlare delle proprie idee per salvare il mondo a un’interlocutrice schizzinosa. Promemoria: essere non esageriamo, ma per lo meno mostrarsi sempre amabile con le persone.