Dan Uzan
In memoria di Dan Uzan. Sapeva ciò che stava facendo, Dan. E ha continuato anche dopo gli attentati di Bruxelles, Parigi, Gerusalemme. Non ha esitato, non ha avuto paura. O forse quella sì, perché non provare paura è disumano. Era alto due metri e cinque, Dan Uzan, ed era stato un campione di basket. Uno sguardo bonario, innocuo, su un corpo imponente, come può accadere a chi la Natura ha dotato di un fisico eccezionale.
Un mio amico danese lo ricorda in porta, nella squadra di calcio dell’Hakoah; io lo immagino sul campo in un pomeriggio di fine estate, nel Nord. Le giornate sono ancora lunghe ma il clima vira verso il freddo. Ma che gliene importa, a Dan e ai suoi amici, se scende una leggera pioggerellina o se fa caldo? Siamo tutti sudati, continuiamo a giocare. Non lo conoscevo, Dan, 37 anni, attivissimo nella comunità ebraica di Copenhagen a parte un periodo in Israele. Ma mi pare di conoscerlo negli occhi degli amici comuni, o nei ricordi di agosti europei.
Ma non riesco a immaginare la sua morte, di fronte a una sinagoga piena di gente che festeggiava un Bar Mitzvà, piena di ragazzini. Gli hanno sparato in testa, a Dan Uzan, prima di scappare via. Ha fatto in tempo a salvare i suoi fratelli, che stavano dentro, non sapevano, non potevano sapere. Questa volta non è servito neanche il coraggio dello straordinario popolo danese – unica gente “Giusta tra le Nazioni” secondo Yad Vashem – a salvare gli ebrei. Ci è voluto il coraggio Dan, povero grande Dan. Che sia benedetto il vero Giudice.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(17 febbraio 2015)