…restare

Forse dovremmo prendere in seria considerazione la partenza, ascoltando l’invito di Netanyahu. La diaspora sta diventando pericolosa, e forse ha esaurito il suo corso e il suo senso. Tutti ci garantiscono, oltre al riconoscimento dei diritti da tempo acquisiti, anche la sicurezza e la loro solidarietà. Salvo qualcuno, che ci ricorda che però Israele… e che però quelli di noi che ne sostengono le ragioni… Ma sicurezza e solidarietà sono garantite, almeno per i due o tre giorni successivi gli spari e le morti. È vero però che nessuno scende in piazza per noi in giro per l’Europa, e che nessuno va in giro con i cartelli e con le magliette con su scritto “Je suis Dan Uzan”, perché la solidarietà agli ebrei la si esprime sottovoce, o in ascensore, o di fretta fra un corridoio e l’altro, possibilmente senza che troppi altri ne siano testimoni. Lasciamolo il compito ai titoli dei giornali, e tanto basti. Perché, in fondo, diciamocelo francamente, qualche colpa gli ebrei ce l’hanno di sicuro, magari non qui, ma laggiù. Magari non proprio oggi, ma ieri o l’altro ieri. Quindi, in qualche modo, se la sono cercata la loro storia. Ha ragione allora Netanyahu, dovremmo andarcene tutti, e non solo dalla Francia o dalla Danimarca. Ma c’è chi in questo paese ci è nato e ci vive da cinquecento anni, e chi – fortunato lui – da duemila, e per tagliare il suo cordone ombelicale con questa terra dovrebbe rinnegare esistenza e storia di generazioni di antenati, dovrebbe cancellare da sé educazione, cultura, coscienza e intraprendere il proprio viaggio di straniero, inverando il mito antisemita dell’ebreo errante. Fuggire e ricominciare tutto daccapo, come tanti di noi hanno fatto nella storia fino a non più tardi di una cinquantina di anni fa. Restare invece, significa sfidare la coscienza dell’Occidente, sfidare la coscienza dell’Europa ‘giudaico-cristiana’ e vedere fino a quale punto di ignominiosa indifferenza (parole a parte!) la società in cui viviamo è disposta ad arrivare. No, non me ne vado. E non per eroismo, ma per disperazione. Anche se sento già l’amico rivolgermi pronto la sua domanda provocatoria: ‘Anche a rischio della sicurezza dei tuoi figli?’ E io, come al solito, non ho nessuna risposta da dare. Mi consola soltanto vedere che in questi giorni nessuno grida più che tutto ruota attorno alla questione israelo-palestinese. La telecamera ora è puntata altrove. Una bella soddisfazione!

Dario Calimani, anglista

(17 febbraio 2015)