Ari, il re del poker (con la kippah)
A chip and a chair, dicono i giocatori di poker. Finché hai una fiches da poterti giocare, puoi sedere al tavolo verde e sfidare la sorte.
Certo, farlo con una kippah in testa è decisamente inconsueto visto il divieto nella tradizione ebraica di giocare d’azzardo. Eppure Ari Engel, figlio di un rabbino ortodosso americano, ha fatto del poker il suo lavoro. Per lui il Texas Hold’em, specialità del poker, è un gioco di abilità, di calcolo delle probabilità, di strategia.
“Il poker non appartiene ai casinò”, dichiarava il giovane Engel in un’intervista alla Jta, agenzia americana di informazione ebraica. “Certo ci sono molte cose che sono oltre il tuo controllo, ma molte di più lo sono. Io non azzardo affatto quando gioco”.
Un’idea condivisa dalla maggior parte dei giocatori professionisti del tavolo verde (anche se oramai buona parte dei giocatorisi diletta on-line): se fosse tutta una questione di fortuna, noi non arriveremmo la maggior parte delle volte in fondo ai tornei, sostengono quelli che il mondo dell’Hold’em considera dei campioni.
E tra loro anche il giovane Ari Engel, che da studente di yeshiva e laureando in Finanza industriale alla New York University è passato al fascino delle carte, facendo del poker un lavoro a pieno titolo. Decisione che a sorpresa ha trovato il benestare dei genitori. Sia per la problematica religiosa sia perché dire ai tuoi che vuoi diventare un professionista di poker in genere non sembra una notizia che possa renderli felici.
Giocare on-line o dal vivo è molto stressante e spesso sconvolge i ritmi della normale quotidianità. Ne sa qualcosa Barry Greenstein, un altro giocatore americano ed ebreo, che nel 2005 ha scritto il libro Ace of the River, in cui si scusa con i suoi figli per tutte le volte che è stato assente, impegnato in qualche torneo a Las Vegas o in giro per il mondo. “Non so se vorrò fare il giocatore di poker per tutta la vita – affermava in un’intervista Engel, che ha all’attivo diversi milioni di dollari vinti grazie al gioco – ma per ora è questo quello che ho scelto”.
Il Texas Hold’em, ovvero una versione del poker in cui i giocatori ricevono solamente due carte a testa: queste formano il punto di ogni giocatore assieme alle cinque carte comuni suddivise in Flop (le prime tre), Turn (la quarta) e River (la quinta) scoperte dal mazziere durante le varie fasi di gioco. Ad attirare nel mondo delle carte il ventenne Ari è stato il suo compagno di stanza alla New York University, Andrew Brown. Tra le mura del college e soprattutto dalla tastiera del suo computer Engel inizia a sfidare sconosciuti e a imparare le regole basi del gioco (in realtà prima di iniziare, passa tre mesi ad osservare gli altri giocare). Le sue basi di economia sono un aiuto per calcolare probabilità e costi delle sue strategie (tra giocatori più abili ci sono matematici, campioni di scacchi, docenti del Mit). Ari inizia a prenderci la mano e soprattutto a vincere, tanto da riuscire a ripagarsi le salate tasse universitarie. Dopo gli studi viene assunto con lavoro fisso ma le notti passate al tavolo virtuale rendono di più, così sceglie la sua strada, il poker.
Dopo essersi vissuto da bambino in Sud Africa, Australia, Gerusalemme e Annapolis, Ari è tornato a quella vita itinerante, ma questa volta scegliendo di seguire le carte, partecipando ai diversi tornei organizzati in tutto il mondo. “Il poker è il modo più duro per fare una vita facile” afferma uno dei tanti detti che circolano attorno a questo mondo. Per adesso è questa la vita di Ari.
Daniel Reichel
Pagine Ebraiche febbraio 2015
(22 febbraio 2015)