Qui Torino – Islam e Occidente: informazione e disinformazione
Il Circolo dei Lettori di Torino ha ospitato nella giornata di ieri il terzo incontro del ciclo in memoria di Dan Segre dal tema “Islamismo, società islamica, antisemitismo”.
Il 28 gennaio scorso, in occasione degli eventi legati al Giorno della Memoria, il giornalista Domenico Quirico ha parlato di Islam e società del Medio Oriente, il 9 febbraio David Meghnagi ha analizzato il tema Vecchio e nuovo antisemitismo.
A prendere la parola ieri è stato il professor Ugo Volli per parlare dello spinoso problema della corretta informazione, in particolare Islam e Occidente: informazione e disinformazione. L’incontro è stato presentato e moderato da Emanuel Segre Amar, vice Presidente della Comunità Ebraica, che invita a riflettere su l’attendibilità di certe testate giornalistiche e su cosa intendiamo per corretta informazione.
Ugo Volli apre il dibattito partendo dalle origini dell’informazione e cioè dalla nascita stessa del giornalismo. “Il giornalismo – spiega – nasce nel momento in cui esiste un’opinione pubblica che va informata in quanto le si riconosce un peso e un potere decisionale, tant’è che non può esserci giornalismo senza democrazia e viceversa”.
La stampa quindi si assume, almeno potenzialmente, il ruolo di fornire informazione. Ma cosa distingue una corretta da una fallace informazione? Come possiamo definire l’attendibilità di una fonte? Onestamente, sappiamo cosa succede attorno a noi? Le principali testate italiane rispettano questo principio di democrazia nei confronti dell’opinione pubblica? Questi i nodi principali che si è tentato di sciogliere durante il pomeriggio di ieri.
Ciò che emerge è una presenza costante e crescente di veri e propri buchi informativi per quanto riguarda la politica estera, e in particolare la situazione in Medio Oriente. Qualcuno potrebbe obbiettare che scrivere di tutto ciò che succede nel mondo è presso che utopico. La stessa sociologia della comunicazione di massa, spiega Volli, definisce il mondo come un sistema complesso costellato da numerosi e diversificati focolai di crisi, perciò è comprensibile che i giornali non riescano a dar voce a tutti. Tuttavia non va usata come scusa. La funzione dei giornali è di filtrare le notizie attraverso l’azione di gatekeeping, un portierato che decide cosa far passare e cosa no dai cancelli della stampa.
Il risultato, continua Volli, è la creazione dell’agenda setting, dove sono i media a fare l’agenda del pubblico, suggerendo alla persone non cosa pensare, ma attorno a cosa pensare. Quello che emerge è che tutto ciò che non attraversa i cancelli delle redazioni giornalistiche, non viene conosciuto dall’opinione pubblica. Viene da chiedersi se si possa parlare ancora di democrazia.
Il risultato è un’informazione che corretta e completa proprio non si può definire. In particolare, spiega Volli, l’informazione sul Medio Oriente disorienta per motivi diversi. Innanzi tutto si ha disinformazione per eccesso di informazione e questo è il paradosso per eccellenza: a una spasmodica attenzione per ciò che accade in Israele, corrisponde una disattenzione totale su ciò che succede attorno. Certo bisogna considerare i giochi politici che ci sono alle spalle, difficili da smascherare. Altra causa di disinformazione è la censura, che attraverso una sottrazione informativa fa si che alcuni argomenti vengano messi sullo sfondo o taciuti per non turbare i giochi di potere e gli equilibri tra forze politiche. Un altro fenomeno che bisogna analizzare riguarda come vengono date le notizie, come vengono scritte: in psicologia della comunicazione si parla di punteggiatura di una notizia. Per quanto riguarda l’informazione su ciò che avviene in Medio Oriente ci si trova spesso davanti a distorsioni di questa punteggiatura, a cui segue una diretta distorsione semantica.
In particolare, viene applicata una logica secondo cui causa ed effetto sono invertiti, o la causa è nascosta, o dei passaggi intermedi vengono occultati. Ed ecco che la notizia non sta più in piedi o non viene presentata della sua totalità e quindi veridicità. “La rottura della punteggiatura”, conclude Volli, “ tradisce i fatti”.
L’informazione, in Italia in particolare, è purtroppo di tipo propagandistico e serve a rinfocolare sentimenti latenti per ottenere schieramenti d’appoggio ad altre politiche ed è proprio a questo livello ‘geopolitico’ che l’opinione pubblica rimane esclusa.
Quello che emerge è un quadro tutt’altro che roseo per quanto riguarda l’informazione. Sembra più che altro che si sia dimenticato il confine tra il mestiere del giornalista e quello del pubblicitario: informare e vendere un prodotto risultano due operazioni non così distinte.
Cosa possiamo fare a questo punto noi singoli, in quanto parte dell’opinione pubblica? Ci spetta il compito di imparare a distinguere informazione e disinformazione, di tentare di colmare i buchi informativi. Con questo non viene dichiarata la morte del giornalismo e dei principi della sua etica, ma ci viene chiesto di assumerli noi per primi tali principi, perché informarsi correttamente richiede uno sforzo notevole e sta assumendo sempre più l’aspetto di un vero e proprio lavoro.
Alice Fubini
(23 febbraio 2015)