J-Ciak – Moore, l’Oscar della differenza
“Stay weird, stay different”. La frase, che riecheggia il celebre “Stay hungry, stay foolish” di Steve Jobs, dalla notte degli Oscar fa discutere l’America. A pronunciarla, il trentatreenne Graham Moore, vincitore con “The Imitation Game” della statuetta per la migliore sceneggiatura non originale, in quello che è stato definito il discorso più toccante della premiazione.
Ma a cosa si riferiva lo scrittore? All’identità gay, visto che il film è dedicato ad Alan Turing, matematico britannico che contribuì a decrittare i codici nazisti e finì suicida dopo essere stato condannato per omosessualità? Alla dolorosa vita da adolescenti geek – occhialuti, patiti di nuove tecnologie e allergici allo sport – come pare essere stato lo stesso Graham? E quanto ha giocato, in quest’affermazione, quella sensazione di alterità che da secoli s’intreccia all’identità ebraica?
Il diretto interessato finora non si è pronunciato, limitandosi a chiarire il giorno dopo di non essere gay. L’unica a sapere cosa davvero intendeva è forse la madre Susan Sher, nata Steiner e di recente divenuta Mrs. Cohen. Originaria di Chicago, avvocato già assistente di Obama e a capo dello staff di Michelle, incaricata dalla Casa bianca di tenere i contatti con la Comunità ebraica oltre che amica della first coppia, alla cerimonia degli Oscar sedeva a fianco del suo Graham in uno smanicato abitino bianco e blu.
Ma veniamo al testo del discorso. Graham Moore ha esordito ricordando Alan Turing, figura da cui era rimasto ossessionato già da ragazzino. E ha proseguito “Quando avevo 16 anni ho tentato di uccidermi perché mi sentivo strano e mi sentivo diverso e sentivo di non appartenere a niente”. “Adesso – ha continuato – sono qui e vorrei che questo momento fosse per quella bambina lì fuori che si sente strana, diversa o si sente fuori posto ovunque. Sì, lo sei. Ti giuro che lo sei. Resta strana, resta diversa (Stay weird, stay different). E allora, quando toccherà a te stare su questo palco, per favore passa questo lo stesso messaggio al prossimo che arriva”.
A differenza di molti premiati Graham Moore non ha letto il testo del discorso, che a tratti è suonato troppo teso e un po’ confuso. Il tema della differenza risuona però forte e chiaro. E dunque, cosa voleva dire? Se intendeva parlare dell’identità gay, poteva fare di meglio, si è detto. “Il problema sta proprio nel pensare all’omosessualità (o alla bisessualità o alla transessualità) come a qualcosa di strano” scrive Bryan Lowder su Slate. “Non c’è niente di strano in questi modi naturali e normali di essere umani, e l’obiettivo dovrebbe essere di arrivare al punto in cui chi non è gay se ne rende conto”.
E, scrive June Thomas sempre su Slate, “è anche importante dire che essere gay non è la stessa cosa che essere ‘geek’. Moore può considerare paragonabili le due cose […] ma la realtà è che la forza sociale del pregiudizio anti-gay è di gran lunga più forte e dannosa dell’atteggiamento contro gli emarginati. Il cuore di Moore batte senz’altro dalla parte giusta, ma preferirei non avesse confuso queste identità”.
“Stay weird – scrive Spencer Kornhaber su The Atlantic – non è un consiglio che sarebbe stato di aiuto a Turing e […] le sfide per le persone gay sono ben più grandi del semplice fatto di sentirsi strani”.
In ogni caso, dice Kornhaber, il tema dell’identità gay di Turing è solo accennata nella sceneggiatura del film. Ironicamente, conclude, la promozione di “The Imitation Game” è stata accompagnata da una campagna a favore dei diritti dei gay, con cui la casa di produzione Weinstein sosteneva una petizione in cui si chiedeva al governo inglese di riabilitare i 49 mila uomini a suo tempo perseguitati per la loro omosessualità. “È una giusta causa, ma molti hanno ritenuto lo slogan del film ‘Onora l’uomo, onora il film’ un trasparente opportunismo, che usa l’equità politica per vincere dei premi. Se qualcuno ha finora tratto vantaggio da quella campagna, è il solo Moore. Lui non ha menzionato tutto ciò nel suo discorso”.
Rimane l’ultima opzione. Quella di un discorso per molti versi ingenuo, sputato fuori con l’emozione del cuore in gola da un giovane scrittore che ha patito per essere diverso dai suoi coetanei, ha sfiorato il suicidio, affrontato una lunga depressione. E ora sta lì, davanti alla sbrilluccicante platea di Oscar, a raccontarci che sì, ce la si può fare.
Daniela Gross
(26 febbraio 2015)