Pericolo percepito
Che cosa avrebbero risposto gli ebrei al tempo del re Achashverosh se qualcuno avesse chiesto loro se si sentivano in pericolo? Facile immaginare che avrebbero avuto opinioni molto variegate, e con validi motivi: in apparenza erano integrati bene; uno di loro “sedeva alla porta del re” e sua cugina era diventata addirittura regina (ma la scelta di nascondere la propria identità ebraica è già un brutto sintomo). Poi, nel giro di pochissimi giorni, tutto precipita e il popolo ebraico pare destinato a scomparire. Passano altri pochissimi giorni e la situazione si capovolge ancora: il prestigio e l’influenza degli ebrei sono di nuovo alle stelle. Indubbiamente c’era di che avere le idee un po’ confuse.
Anche in questo come in molti altri aspetti la Meghillat Ester è paradigmatica. Spesso nel corso della storia gli ebrei non sono stati in grado di valutare correttamente i rischi che correvano, ma altrettanto spesso valutare correttamente questi rischi è oggettivamente impossibile. Già non è facile misurare correttamente il livello di antisemitismo presente nella società in cui viviamo (livello che peraltro può aumentare o diminuire sensibilmente nel giro di pochissimo, come la Meghillà illustra efficacemente). Per di più la correlazione tra antisemitismo e pericolo non è affatto scontata: è probabile, per esempio, che negli anni ’30 l’antisemitismo fosse più diffuso negli Stati Uniti o in Inghilterra piuttosto che in Italia o in Olanda, eppure sappiamo come sono andate poi le cose.
Troppo facile biasimare con il senno di poi la cecità dei nostri nonni e della loro generazione. Ma in realtà anche noi mentre siamo immersi nella storia non sempre siamo capaci di capire in quale direzione ci sta portando.
Anna Segre, insegnante
(27 febbraio 2015)