Oltremare – Missing Sayed
Il New York Times del weekend è una delle cose in cui ho lasciato il cuore a New York. Un cliché finchè si vuole, ma con i ritmi della grande città, il giornale si ha tempo di leggerlo davvero solo nei giorni non lavorativi, e io la domenica mi allungavo spesso e volentieri su un prato (mica uno a caso: la Great Lawn in Central Park), con intorno tutte le sezioni sparpagliate per il raggio di due metri: lettrice felice.
Dal mio arrivo in Israele, ho adottato la versione internazionale dell’Herald Tribune, che di recente è stata rilevata proprio dal Times, e contiene al venerdì la parte internazionale, quella israeliana ricavata da traduzioni abbastanza tempestive di Haaretz, oltre alla fondamentale “The Guide”, compendio dei programmi culturali della settimana a venire. Ora l’allungo avviene in spiaggia: paese che vai…
Mi sono affezionata presto alle colonne di Sayed Kashua. Negli anni, ho imparato a capire la sua ironia e la critica della società israeliana dall’interno, vista da un arabo israeliano di Tira che vive con la famiglia a Gerusalemme, in zona ebraica, e manda i bambini alla scuola di zona, con bambini ebrei e programma scolastico israealiano. Non è sempre facile guardarsi nello specchio di Kashua. Alcuni trovano il suo humor un po’ tirato, anche se lo stesso autore ha firmato la serie tv “Lavoro Arabo (Avoda Aravit)” che ha spopolato per quattro stagioni.
Da qualche settimana, dopo pezzi molto pessimisti durante l’estate di guerra, sulle speranze di qualsivoglia sviluppo in positivo, Sayed Kashua ha chiuso la collaborazione con Haaretz. Motivazione ufficiale: è in America a insegnare scrittura creativa per un anno. Io ancora non mi sono abituata, e sfoglio automaticamente il giornale in cerca delle avventure della famiglia araba-israeliana, con bambini che parlano ebraico, adesso alle prese con l’America profonda, la neve, le auto enormi, le villette, il giardino da curare.
A me piacerebbe davvero che Sayed Kashua ritornasse, se non dagli Stati Uniti, almeno da questo silenzio davvero poco beneaugurante per Israele.
Daniela Fubini, Tel Aviv
(2 marzo 2015)