Shabbat…

Dal linguaggio usato nella Torà in merito allo Shabbat, i nostri Maestri ricavano il concetto dell’esistenza di una speciale “anima aggiunta” che entra nella persona dall’inizio del Sabato per uscirne al momento della Havdalà; anzi, il fatto che l’Havdalà preveda l’uso di spezie odorose è messo in rapporto col fatto che si cerca di preservare un po’ della piacevolezza ottenuta con l’”anima aggiunta”.
Nel Talmud, le Tosafòth discutono se anche durante i giorni di Mo‘èd ci sia un’anima aggiunta. Il ragionamento è il seguente: se nella formula di separazione (“Havdalà”) fra il Sabato e Mo‘èd non è previsto l’uso delle spezie, ne conseguirebbe che non c’è alcuna perdita da compensare, e pertanto anche di festa solenne abbiamo un’anima aggiuntiva. Ma se così è, perché, allora, non è prevista la benedizione sulle spezie all’uscita di Mo‘èd?
Secondo il Sefàth Emèth, effettivamente anche di Mo‘èd abbiamo l’anima aggiunta, ma questa non se ne va al termine della festa, perché la festa è qualcosa di fissato da Israel, mentre lo Shabbat – memoria della Creazione – esisterebbe anche se non fosse osservato da nessun Ebreo; e ciò che è fissato dall’uomo, l’uomo lo conserva e lo mantiene.
Questa spiegazione del Sefàth Emèth necessita qualche chiarimento. A prima vista, sembrerebbe dire qualcosa che è in contrasto con quanto afferma la tradizione: la memoria della festa, il beneficio della festa è più duraturo di quello dello Shabbat, e quindi la festa sarebbe più importante; ancora: ciò che è fissato dagli uomini è più valido di ciò che è fissato da Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, … È evidente che non è questa la giusta chiave di lettura.
Ciò che il Sefàth Emèth vuol dire è esattamente l’opposto. L’anima aggiunta del Mo‘èd c’è, e non se ne va perché la sua origine sta nell’azione umana: sono gli eventi della storia che danno origine alle feste, ed è l’uomo che deve avere la capacità di dare loro un significato santo. Quando ci riesce, l’effetto – l’anima aggiunta – è permanente. Non così è lo Shabbat: la sua santità non dipende dall’uomo: “Perciò benedisse il Signore il giorno dello Shabbat e lo santificò”. Questa santità, che diventa percepibile grazie ad un’anima aggiunta di origine totalmente divina, è da conquistare, perché per l’uomo è labile, sfugge, tende a tornare alla sua fonte. Abbiamo quindi bisogno di un elemento esterno che ce la ricordi, ne conservi il profumo. Sarà solo in un mondo “interamente sabbatico”, ossia nell’era messianica, che quest’anima aggiunta non fuggirà più.

Elia Richetti, rabbino

(5 marzo 2015)