Oltremare – L’albero e io
Da anni hanno tagliato l’albero che si appoggiava con qualche prepotenza sul lato destro del mio soggiorno. Non so che albero fosse, perché sono botanicamente analfabeta, ma doveva essere parecchio antico, relativamente parlando, visto che il quartiere in cui vivo è stato costruito fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Era anche parecchio alto, per arrivare oltre il mio quarto piano – anzi, terzo e mezzo. Qui a Tel Aviv, le case hanno piani e mezzi piani, a seconda del lato del palazzo.
Ora, l’albero aveva due caratteristiche per cui lo amavo molto, e due per cui potevo ben farne a meno.
Mi proteggeva dalla vista dei vicini di fronte, e assorbiva il rumore delle loro chiacchiere fra balconi. Faceva ombra nei lunghi pomeriggi di pieno sole, e me ne accorgo adesso che non c’è e le finestre si scaldano anche all’interno – prima non succedeva. Però, i suoi rami sbattevano con violenza contro le finestre a ogni alito di vento, figuriamoci d’inverno quando arrivavano le tempeste di vento e acqua e sabbia in parti uguali – un concerto di fronde non proprio bucolico. E poi, dai suoi rami entravano in casa (anche a finestre sigillate) occasionali insetti forse interessanti per un entomologo, ma destinati a morte certa dentro casa mia, a volte con qualche sforzo e ciabatte lanciate con forza e successiva soddisfazione.
L’albero è stato tagliato perchè si era ammalato e non è stato possibile salvarlo; mi ha spiegato uno che se ne intende, che quando hanno piantato gli alberi in questa zona, non hanno pensato abbastanza al futuro, e hanno scelto alberi che per natura non vivono più di qualche decina di anni. Quindi è naturale che poi muoiano e debbano essere sostituiti. Se è vero, è una metafora meravigliosa di questo nostro paese: ci riempiamo tutti la bocca della sua eternità e di quanti millenni ha visto, ma poi non facciamo nessuno sforzo per guardare a cento anni da oggi. E sì, intendo politicamente.
Daniela Fubini
(9 marzo 2015)