Qui Gerusalemme – Seminario Ye’ud
Israele, esperienze a confronto

ye'ud world zionist presidenteUn giorno denso e ricco di incontri quello ieri con Ye’ud, il seminario sulla leadership organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con il contributo dalla World Zionist Organization.
I giovani partecipanti, giunti dalle diverse comunità italiane a Gerusalemme, iniziano i lavori con la seconda sessione tenuta dallo psicologo Dan Wiesenfeld che attraverso giochi e sfide rafforza il team puntando sulle differenze di ognuno.
Il team, constata Wiesenfeld, nonostante i vincoli posti da determinate regole, dimostra di cavarsela egregiamente anche se più che sull’innovazione punta sul miglioramento di un’unica strategia d’azione.
Poi ci si concentra sulla situazione dello Stato di Israele dal punto di vista della politica e dell’informazione.
Eliana Gurfinkel, dirigente del Bene Akiwa e del Jewish Statesmanship Center di Gerusalemme, immerge il team nell’atmosfera elettorale israeliana partendo da una foto di Theodor Herzl e chiedendo ironicamente: “Conoscete per caso questo hipster?”.
Gurfikel spiega che per capire Israele bisogna partire dal 1897, l’anno del primo Congresso Mondiale Sionista nel quale si crearono quattro fazioni diverse: i socialisti, i generalisti, i religiosi e revisionisti. Quattro correnti che ancora oggi fondano lo Stato ebraico.
Spiega poi che la Knesset è una struttura monocamerale costituita da 120 seggi che richiamano i 120 saggi del Secondo Tempio di Gerusalemme. “Quando un partito raggiunge il numero maggiore dei seggi – aggiunge – deve creare una coalizione per avere un minimo di 61 seggi (per creare un governo forte in realtà ci vorrebbero tra i 65 e 70 seggi), mentre la soglia di sbarramento perentrare alla Knesset è del 3,25 per cento dei consensi”.
Le date fondanti per Israele, riassume la docente, sono il periodo 1948-77 che vede l’egemonia della sinistra, il 1977 con l’ascesa dell’uomo di destra Begin, il 1984 con l’entrata in scena del partito religioso sefardita Shas, il 1994 con gli accordi di Oslo firmati dal governo di sinistra che poi si entrerà in crisi nel 1996 con l’inasprirsi del terrorismo. Nel 2005 infine Ariel Sharon crea il partito centrista Kadima e da allora i partiti centristi fioccano: da Yesh Atid all’ultimo esperimento di Kulanu.
“Quando un israeliano deve votare – conclude – le questioni che ci si ponono sono soprattutto tre: la sicurezza, l’economia e il rapporto tra Stato e religione”.
A dare una testimonianza del tipo di informazione che arriva in Italia su Israele è poi il giornalista dell’agenzia Ansa Massimo Lomonaco. “Il modo di parlare d’Israele da parte dei giornalisti italiani è cambiato in positivo. Ci sono sempre articoli che non piace leggere e faziosi, ma si tratta di una piccola parte. Noi dobbiamo dare al lettore italiano medio una reale informazione su cosa sia Israele. Durante il conflitto della scorsa estate per i giornalisti è stato molto interessante ascoltare le voci degli abitanti dei kibbutz sui quali cadevano i missili lanciati da Gaza. Ad interessare molto la stampa è stato poi l’Iron Dome, il sistema di difesa che ha salvato migliaia di israeliani. Oltre ad essere cambiato l’occhio esterno è cambiato anche il modo di comunicare da parte del paese: l’esercito aggiorna costantemente la propria pagina di Twitter e cerca di puntare sulla trasparenza. Quando è scoppiata la guerra, per esempio, io l’ho saputo proprio da Twitter”.
“Penso – aggiunge il giornalista – che per far vedere la vera Israele, i leader comunitari italiani debbano puntare sulle storie ed i fatti normali più che sulla ideologia”.
Il giornalista fa infine riferimento all’intervento di Benjamin Netanyahu al Congresso degli Usa, pronunciato senza aver ricevuto alcun invito dal presidente Obama: “Netanyahu ha preso questi rischi per questioni di politica interna senza considerare l’incrinatura dei rapporti con gli Stati Uniti. Non ha considerato che Obama resterà altri due anni in carica. Però il contenuto del suo discorso, quello sul pericolo dell’Iran, è stato di certo efficace e persino uno scrittore storicamente di sinistra come David Grossman lo ha appoggiato. Solo i modi sono stati sbagliati: non si va in casa di qualcuno senza avvisarlo”.
A dare il proprio saluto è poi il presidente della World Zionist Organization Avraham Duvdevani: “Sono molto felice di questo seminario. Voglio però lanciarvi un monito: il pericolo più grande degli ebrei della Diaspora non è solo l’antisemitismo ma soprattutto l’assimilazione. Questo è un problema spirituale e per questo credo che un corso per formare i nuovi leader delle comunità ebraiche europee sia fondamentale e dopo avervi visto tornerò a casa più contento”.
La seconda parte della giornata continua con Milton Levinson, originario di Miami che si concentra sul tema del social activism. Levinson cita i suoi eroi personali: da Giuseppe, il personaggio biblico che continua a credere nei propri sogni, ad Avi un bambino orfano che diventa un uomo di successo fino ad Alex, la bambina malata di cancro che iniziò a vendere limonate per creare un fondo per la ricerca.
“Tutte queste persone sono riuscite nonostante gli ostacoli a cambiare il mondo. Quello che voglio dirvi è che potete farlo anche voi”. “La mia nuova sfida è la 932 challenge – conclude Levinson – un modo per tentare di contrastare la povertà dei bambini israeliani che sono 932mila”. I partecipanti incontrano infine lo psicologo Daniel Segre che lavora nella divisione tecnologica del governo israeliano e da tutta la vita si occupa di leader e leadership: “Quello che mi preme trasmettervi è il pensiero positivo. Non dobbiamo denigrare per emergere e non dobbiamo denigrarci quando riceviamo critiche, purché esse siano costruttive. I feedback sono fondamentali” e per farlo provare in prima persona invita i partecipanti a presentarsi, analizzando poi forma e contenuto. La giornata si conclude con l’intervento dell’imprenditore Alex Zarfati, socio dell’azienda romana Isayblog e gestore delle pagine social di diversi gruppi e istituzioni comunitarie, fra cui il sito Progetto Dreyfuss. “Il mio brand principale – spiega utilizzando una terminologia commerciale – è Israele e lavoro perché la sua immagine venga veicolata nel modo più corretto. Sui social network non dobbiamo essere passivi, ma dobbiamo agire. Le informazioni dobbiamo darle non subirle e gli argomenti ebraici – raccomanda – vanno trattati con il giusto metodo”.

Rachel Silvera

(11 marzo 2015)