Verona – Il valore della diversità

IMG_0435Aula magna del tecnico Aldo Pasoli di Verona gremita di studenti in occasione dell’assemblea di istituto durante la quale il comitato studentesco ha organizzato un confronto sul valore della diversità invitando Bruno Carmi, presidente della Comunità ebraica di Verona; don Luca Merlo, responsabile per la diocesi del dialogo interreligioso; l’imam Mhonsen, esponente della comunità islamica cittadina. Il presidente Carmi ha aperto il confronto, ponendo al centro del proprio intervento l’invito ad accettare, senza ritrosie, lo sforzo sotteso ad ogni convivenza, rinunciando ad imporre regole che non rispettino l’uguaglianza; ha esortato tutti i presenti a lavorare alacremente alla costruzione di una società pacifica, attraverso il dialogo, il rispetto e la reciprocità, nella ferma convinzione che vivere in una società multiculturale è, e come tale deve essere considerato, un privilegio. Don Luca Merlo ha quindi proposto una riflessione sul significato, le caratteristiche e il valore del dialogo, strumento indispensabile per la costruzione di una comunità; il dialogo – come spiegato – riduce il rischio di immobilismo, permette il cambiamento, rifiuta l’assolutismo. Merlo ha invitato i ragazzi “ad indossare almeno per tre mesi i mocassini dell’altro”, come recita un significativo proverbio indiano, prima di pensare di conoscere chi abbiamo di fronte, sollecitandoli a non rifuggire le fatiche che il viaggio della conoscenza impone. L’imam Mhonsen, infine, dopo aver spiegato ai ragazzi cosa vuol dire Islam e che ruolo ha un imam, ha accoratamente cercato di far capire loro come i musulmani, in un periodo difficile come quello attuale, sentano la necessità di essere conosciuti proprio per essere capiti. In particolare, in riferimento ai fatti Parigi, ha voluto sottolineare che è la stessa comunità islamica a sentirsi sotto attacco. La partecipazione degli studenti al dibattito che è seguito ai tre interventi è stata accesa e sentita; i ragazzi sono intervenuti con domande e richieste di chiarimenti che esprimevano necessità di approfondimento, che solo la conoscenza poteva soddisfare. E non era questo il punto di partenza?

Comitato studentesco dell’Istituto Tecnico Aldo Pasoli

Qui di seguito l’intervento pronunciato dal presidente Carmi:

BokerTov – Buongiorno a tutti e grazie per avermi invitato ad essere qui con voi questa mattina. Desidero salutarvi come d’uso nel mondo ebraico: shalom a tutti voi. Shalom significa Pace ed è la stessa parola che viene usata usata nel mondo musulmano, salam aleikum, quando ci si incontra pacificamente, nonché nel rito cattolico della messa quando venite invitati a scambiarvi un segno di Pace.
Leggendo i testi sapienziali, Il Vangelo, Il Corano, la Torahe quelli di altre religioni tradizionali non è difficile trovare ed estrapolare i versetti che ci indicano il corretto comportamento da tenere verso gli altri esseri umani, che appartengano o meno alla nostra cultura.
Ho indicato quale frase simbolo di questo incontro sul valore della diversità: BaruchatàHashemmeshannè et haberioth! Che significa “Benedetto sia l’Eterno che crea le creature diverse l’una dall’altra”.
Ma avrei potuto citare altri versi dalla Torah, che è il Pentateuco cioè è il testo che la religione ebraica e quella cristiana hanno in comune.
Nel Levitico c’è scritto che devi desiderare per il tuo prossimo quel che desideri per te, o ancora: quando un forestiero faccia dimora con voi, nel vostro Paese, non dovete fargli sopruso. Il Forestiero dimorante con voi dev’essere per voi uguale ad un vostro concittadino (nel testo “indigeno”).
Ed amerai per lui quel che ami per te, poiché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Ci sono diverse interpretazioni sul fatto che Dio abbia voluto creare un mondo abitato da creature tra di loro diverse per lingua e per cultura. Ai tempi della costruzione della torre di Babele, i testi ci dicono che l’umanità non solo parlava una sola lingua, ma si capiva, cioè viveva in armonia. Perché allora distruggere la torre di Babele e mescolarci al punto che oggi sembra che nessuno di noi possa vivere in pace con i suoi simili? Seppure con tutte le nostre diversità linguistiche, culturali e religiose siamo però simili nel fatto di apparteneretutti alla specie umana, e questa è una buona base da cui partire per cercare di costruire un mondo migliore.
Un’interpretazione del racconto della torre di Babele è che Dio pensava che uomini e donne da lui creati stessero diventando troppo simili a Lui e forse temeva che avrebbero potuto sostituirlo o dimenticarlo e che questo non fosse bene per l’Umanità.
Sta di fatto che su questa Terra la specie umana si è sviluppata creando pensieri, lingue, culture diverse e cercando di convivere con tali diversità, anche se troppo spesso anziché punti di incontro si sono evidenziate le differenze e questo ha portato a lotte, battaglie, discussioni e guerre.
La diversità di tipo religioso e culturale sembra stia creando nuovi conflitti, apparentemente insanabili. Quello che vorremmo capire è se è possibile, se è giusto, se è davvero arricchente vivere in una società multiculturale.
Sappiamo che “diverso” è chi tale si considera o così è considerato dagli altri. Quindi diversi, rispetto a me cittadino italiano, sono gli stranieri che migrano in Italia da Paesi poveri o dove la vita per loro è politicamente insostenibile. I flussi migratori sono sempre esistiti, che fossero volontari, o si trattasse di cacciate, o deportazioni . Solo per venire a tempi più recenti ricordiamoci delle migrazioni di massa da un’Europa povera ad un’America che offriva lavoro e speranza di vita a chi qui non ne trovava o, parlando di ebrei, le fughe dai pogrom nella Russia degli Zar a cavallo del XIX e del XX secolo. E oggi, come allora, chi fugge volontariamente dai Paesi poveri o dalle guerre dell’Africa e del Medioriente lo fa solo perché spera di trovare protezione e lavoro.
Tornando a noi che ci troviamo seduti a questo tavolo, siamo evidentemente “diversi” per religione e cultura. Sebbene tutti noi affermiamo che il nostro Dio è unico e quindi tutti e tre ci definiamo appartenenti ad un credo Monoteistico, siamo ciò nonostante diversi perché il culto, il rito, le parole sapienziali che usiamo sono diverse. In più, rispetto a me, i miei vicini sono dei religiosi di professione oltre che per fede, e lo dico con il massimo rispetto, mentre io ho un ruolo laico all’interno della Comunità ebraica di Verona che in seguito ad un votazione democratica, mi ha eletto suo Presidente.
Il mio nome ebraico è Ghershon che significa straniero in terra straniera, o secondo un’altra possibile traduzione colui che sta sul confine. Quindi sono un diverso di nome oltre che di fatto.
Che io sia diverso da tutti voi però me lo dimentico spesso. Sono gli avvenimenti della storia e della vita che ci pensano a ricordarmelo, quasi ogni giorno.
In Italia noi ebrei siamo sempre stati numericamente pochi, minoranza fra le minoranze, ma ci siamo dai tempi degli antichi romani, e questo nonostante abbiamo subito persecuzioni, cacciate, inquisizioni e chiusura nei ghetti. I ghetti in Italia, primo fra tutti quello di Venezia, furono istituiti in seguito alla bolla papale di Paolo IV Cumnimis absurdum il 14 luglio del 1555 e solo con l’arrivo di Napoleone ne furono abbattuti i cancelli .
Abbiamo sempre cercato di vivere in modo pacifico e partecipando attivamente allo sviluppo dell’Italia. Fino al 1848 in Piemonte e nel 1866 in Veneto, eravamo una minoranza senza troppi diritti e con molti doveri. Con gli editti di emancipazione concessi dall’allora Sovrano Carlo Alberto di Savoia ad ebrei e valdesi, che erano le due sole minoranze che vivevano nei suoi territori, siamo diventati italiani a tutti gli effetti, abbiamo avuto la parità di diritti e doveri, abbiamo potuto finalmente svolgere qualsiasi lavoro e professione, studiare nelle scuole pubbliche e nelle università, abbiamo combattuto nelle guerre risorgimentali e nella prima guerra mondiale.
Credevamo di non essere più così diversi, ma ci sbagliavamo. Gli stessi Savoia che ci avevano dato l’emancipazione, novant’anni dopo hanno firmato le leggi razziali. E siamo stati di nuovo discriminati e dopo il 1943 siamo stati dichiarati stranieri e nemici, ci hanno dato la caccia e molti nostri famigliari sono finiti nei campi di sterminio e non sono più tornati.
Tutto questo lungo discorso solo per dirvi, che nonostante l’educazione religiosa o laica ci dicano fin da piccoli come dobbiamo comportarci con i diversi e quanto tutto questo possa arricchirci culturalmente, è più facile che i nostri pensieri ed i nostri comportamenti ci portino da tutt’altra parte.
Io personalmente credo che poter vivere in una società multiculturale sia davvero un privilegio, un valore e che i guai peggiori comincino nel momento in cui la cultura maggioritaria e dominante inizia a sbandierare l’idea che il diverso è infido, portatore di malattie, eretico e le minoranze anziché tutelate vengono additate come pericolose.
Quei pensieri sbagliati e tutt’ora presenti, nel ‘900 hanno prodotto i totalitarismi e non è facile combatterli soprattutto oggi dove trovano ampia diffusione nei social network ed in internet.
Forse parlare di “scontro di civiltà” non è corretto, ma se vogliamo continuare a vivere in una società aperta, che tutela i diritti di tutti, crede nell’uguaglianza di donne e uomini, rispetta le minoranze ed ha regole politiche democratiche, dobbiamo davvero combattere una sorta di guerra contro chi invece tali regole non solo non le accetta, ma vorrebbe imporcene altre.
Non sono così ingenuo da venirvi a dire che basterebbe che tutti si comportassero meglio per vivere meglio o che esiste l’amore universale o che è possibile capire facilmente dove davvero c’è il bene e dove c’è il male o che ci sono ricette pronte per mettere a posto le cose.Purtroppo non è così. E allora cosa possiamo fare perché la diversità sia davvero un valore?
Innanzitutto dobbiamo renderci conto che non stiamo parlando di questioni semplici, che questi invece sono problemi molto complessi. Nello stesso tempo dobbiamo lavorare per una convivenza possibile e credo che a questo punto le parole che ci possono aiutare, oltre ovviamente a quelle di solidarietà – fratellanza – uguaglianza, siano quelle di dialogo, rispetto e reciprocità.Il dialogo è solo l’inizio del percorso e in questo confronto non bisognerebbe mai giudicare gli altri usando come parametro di riferimento la nostra cultura.
Conoscersi significa passare del tempo insieme, visitare i luoghi dove l’altro vive ed invitarlo a visitare quelli dove viviamo noi. Credo che un percorso facilitante sia quello che passa attraverso il mondo dell’arte, della musica, della cucina, della cultura materiale. Bisogna essere ben disposti verso l’altro perché dal confronto si possa uscire tutti arricchiti.
Troppo spesso prevalgono invece il pregiudizio e l’indifferenza. Si crede solo di sapere, si legge qualcosa su un giornale o si sente un dibattito, o si naviga in rete e si acquisiscono poche nozioni che non alimentano una maggior conoscenza ma piuttosto ci rassicurano sul fatto che quello che riteniamo giusto lo sia effettivamente e che quello che giudichiamo sbagliato sia proprio così.
Oggi voi, invitandoci qui avete fatto un passo importante in questo percorso di conoscenza e di questo vi ringrazio.
Albert Einstein diceva che la nostra mente è come un paracadute, perché funzioni bene si deve aprire. Vi invito a farlo e sono certo che non ve ne pentirete.
La convivenza con culture diverse non è qualcosa di innato e naturale, ma è un modo di vivere che dobbiamo imparare a costruire giorno per giorno e bisogna farlo nel rispetto e nella reciprocità. Si tratta di un percorso lungo e mai finito. Ne è un esempio il dialogo ebraico-cristiano. Solo cinquanta anni fa, il 28 ottobre del 1965, dai lavori del Concilio Vaticano II emerse un documento di apertura e attenzione verso le religioni non cristiane e in particolare al quarto paragrafo verso gli ebrei.
La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza.
Solo con il Concilio ecumenico Vaticano II è sparito dalla liturgia il riferimento agli ebrei come ai perfidi giudei e l’accusa di deicidio che ha portato nei secoli bui ad ogni sorta di soprusi e violenze a tanti miei correligionari.
Nel corso degli ultimi decenni si sono fatti passi enormi, grazie soprattutto alla fermezza di alcuni maestri particolarmente illuminati, mi vengono in mente tra gli italiani il Cardinale Martini ed il rabbino Laras, che hanno saputo dare un seguito concreto agli auspici espressi nella Nostra Aetate. Ma il cammino non è stato e non è così lineare e molto lavoro rimane da fare.
Per quanto riguarda il mondo islamico oggi il dialogo appare più difficile ed è avviato a livello di singoli individui e soprattutto con le comunità che vivono nel mondo occidentale. In passato ci sono stati momenti di più felice convivenza delle tre religioni ad esempio la cosiddetta convivencia (coesistenza) che ha avuto luogo in Spagna nel Sultanato di Granada e che è durato dall’inizio dell’ottavo secolo fino all’espulsione nel 1492 (lo stesso anno della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo) degli ebrei e dei musulmani che non avevano accettato di convertirsi al cristianesimo a seguito della definitiva vittoria di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona nei confronti del cosiddetto “regno dei mori”.
Il vero significato della Laicità non consiste nel considerare le religioni tradizionali inferiori al pensiero razionale o scientifico. La laicità significa indipendenza di pensiero da ogni condizionamento ideologico, religioso o morale altrui. Significa perciò anche riconoscere che il cammino verso la modernità è complesso e in un’Europa irrevocabilmente multietnica, ognuno deve essere libero di compierlo come preferisce purchè sempre nel rispetto del pensiero dell’altro, del diverso. E’ una grande sfida per le religioni che devono sapersi confrontare con la conquista dei diritti umani universali quali l’uguaglianza di uomini e donne e con lo sviluppo della scienza e della tecnica.
Sempre citando Einstein la mente che riesce ad allargarsi non torna mai alla dimensione precedente.
Se da un lato non dobbiamo perdere quello che, partendo dall’Illuminismo, ci ha portato ai diritti umani individuali sanciti dalle nostre costituzioni, dall’altro dobbiamo recuperare i valori morali e di solidarietà che derivano dalle nostre religioni tradizionali.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un aumento del peso politico delle religioni. Ma è evidente a tutti che questo non ha portato ad un altrettanto significativo aumento della fede e neppure una risposta alla crescente ricerca di spiritualità. Assistiamo da una parte ai tentativi di dialogo nella ricerca di una morale globalizzata, ma anche alla crescita di fondamentalismi e integralismi che, sebbene siano in qualche modo presenti in tutte le religioni, in una parte non piccola del mondo islamico hanno assunto un peso determinante e costituiscono un pericolo da non sottovalutare non solo per l’Occidente, ma a mio avviso per lo stesso Islam.
Abbiamo assistito pochi mesi fa alla nascita nel mondo islamico sunnita di uno stato fondamentalista, il cosiddetto Califfato, e quotidianamente sentiamo i suoi proclami, la rivendicazione e la conquista di nuovi territori, le sue azioni violente nei confronti dei minori e delle donne, le uccisioni di chi è considerato infedele, gli attentati terroristici e le conversioni forzate, nonché l’esportazione di azioni belliche in Europa.
Solo recentemente vicino a noi abbiamo assistito ad attentati aParigi e a Copenhaghen dove terroristi islamici hanno attaccato sia la libertà di espressione, alla redazione di Charlie Hebdo, sia la sicurezza, uccidendo dei poliziotti, sia di nuovo gli ebrei e solo perché ebrei, persone che stavano facendo la spesa per la festa del sabato nell’hipermercato kasher e il guardiano della sinagoga in Danimarca.
Desidero citarvi alcuni brani da un bel libro dello scrittore israeliano Amos Oz intitolato “Contro il fanatismo”. Riferendosi all’attentato alle torri gemelle a New York dell’11 settembre 2001, ma vale anche per gli attentati in Europa Amos Oz ha scritto: “L’attacco non è arrivato da un paese povero…Questa è una battaglia tra fanatici convinti che il fine, qualunque sia questo fine, giustifichi i mezzi, e noi convinti invece che la vita sia un fine, non un mezzo… noi che pensiamo che la vita venga prima di tantissimi altri valori, convinzioni o fedi. L’attuale crisi del nostro mondo…. non riguarda i valori dell’Islam. Non riguarda affatto la mentalità degli arabi, come sostengono alcuni razzisti. Niente affatto. È l’antico conflitto fra fanatismo e pragmatismo. Tra fanatismo e pluralismo. Tra fanatismo e tolleranza.
… Ritengo che l’essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell’inclinazione comune a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare tuo fratello, piuttosto che lasciarli vivere. Il fanatico è un grande altruista. Il fanatico è più interessato a te che a se stesso, di solito. Vuole salvarti l’anima, vuole redimerti, vuole affrancarti dal peccato, dall’errore, dal fumo, dalla tua fede o dalla tua incredulità, vuole migliorare le tue abitudini alimentari, vuole impedirti di bere o di votare nel modo sbagliato, Il fanatico si preoccupa assai di te, e o ti si butta al collo perché ti vuole bene o punta alla gola, nell’eventualità che ti dimostri irriducibile.
(…)Credo di aver inventato la cura per il fanatismo. Il senso dell’umorismo è un’ottima terapia. In vita mia non ho ancora visto un fanatico dotato di umorismo e non ho nemmeno mai visto una persona dotata di senso dell’umorismo diventare un fanatico, a meno di non perdere il senso dell’umorismo. “Queste sono alcune parole di Amos OZ.
Molti pensano che le cosiddette verità scientifiche siano non solo esatte, ma immutabili. Sappiamo invece che lo scienziato procede nella sua ricerca per gradi, tentativi, esperimenti e se scopre qualcosa di nuovo non esita ad accettare la nuova scoperta ed a rigettare le precedenti convinzioni. Scienza e Tecnica hanno fatto progressi enormi negli ultimi secoli, non altrettanto è successo alle teorie umanistiche ed ai comportamenti sociali. Sembra quasi che anziché migliorare il nostro modo di vivere e convivere facciamo di tutto per tornare barbari e primitivi.
Come essere umano sono davvero stanco di pensieri religiosi e di ideologie totalizzanti e intolleranti. Milioni di morti ci sono costati le ideologie del secolo scorso e dalla nascita dell’umanità, interpretazioni forzate dei testi sapienziali hanno permesso in nome di Dio di commettere ogni delitto ed ogni atrocità. Di tutto questo io e con me chi crede nella possibilità di convivenza può solo essere profondamente indignato e arrabbiato.
Spesso ci penso e non mi spiego perché anche le religioni tradizionali appaiono piuttosto sorde al grido di sofferenza di un mondo con crescenti diseguaglianze e ingiustizie, e non sappiano rispondere adeguatamente alla necessità quotidiane delle donne e degli uomini.
Mi chiedo perché facciano così fatica e siano così apparentemente lente a modernizzarsi. Non chiedo, ovviamente, ai leader religiosi, e parlo dei miei e dell’islam e del mondo cristiano, di rinunciare ai loro principi di fede, ma sono convinto che così come integralismi e fanatismi sono riusciti in passato e riescano ancora oggi ad interpretare i testi sapienziali nel modo peggiore possibile, sia anche possibile fare l’esatto contrario e contribuire davvero a quello che nel mondo ebraico si usa chiamare Tikkun Olam. Ovvero completare e perfezionare il progetto divino di creazione riparando ogni giorno le ferite del nostro mondo.
Grazie e un cordiale shalom

Bruno Carmi, presidente Comunità ebraica Verona e Vicenza

(12 marzo 2015)