J-Ciak – Frammenti di “Suite francese”
Se avete amato il libro, il film potrebbe deludervi. Ma se del libro non sapete nulla, rischiate di restare ancora più delusi. La situazione (alla “Comma 22”) strapperebbe un sorriso a Irène Némirovsky, scrittrice acuta e di talento, personaggio controverso, penna pungente e spesso caustica. Dal suo “Suite francese” – che ritrae la Francia sotto l’occupazione nazista – è stato tratto un film dal medesimo titolo, diretto da Saul Dibb, da oggi nelle sale italiane. Ma sul grande schermo vedremo appena un frammento di quel romanzo immenso, ritrovato sessant’anni dopo dalle figlie fra le carte della madre, morta ad Auschwitz, e pubblicato con successo nel 2004.
Di quell’opera fluviale il cinema ci rimanda appena una storia d’amore. È l’estate del 1940. Lei è Lucille Angellier (Michelle Williams), che in attesa di notizie dal marito prigioniero di guerra deve vivere in una cittadina nei pressi di Parigi assieme a una suocera prepotente e meschina (Kristin Scott Thomas). Lui è il comandante tedesco Bruno Falk (Matthias Schoenaerts), che con i suoi uomini occupa la città e finisce per installarsi nella casa delle due donne. Dopo le iniziali reazioni di rifiuto, Lucille inizia a provare un sentimento nuovo per il raffinato ufficiale, con tutto ciò che questo finirà per provocare.
E’ la classica storia d’amore fra un uomo e una donna travolti dalla Storia, che ha una carica sconvolgente se si tiene conto che Irène Némirovsky ne scrive nel lontano 1942. Ma, per quanto reso in maniera efficace, con un’accurata ricostruzione degli ambienti e dell’epoca da parte di Saul Dibb – già regista di “La duchessa” (2008) – è soltanto uno squarcio di un romanzo a più livelli che acquista spessore e significato proprio nella sovrapposizione delle storie, dei personaggi, degli accadimenti.
Il film si rifà alle vicende raccontate nella seconda parte del libro, intitolata “Dolce”. Il regista è ben consapevole della natura episodica del suo lavoro (“Ho cercato di catturare solo un frammento di ciò che accade in duecento pagine”), come della sua responsabilità nei confronti di un’opera così cruciale. Ma, come sottolinea Hollywood Reporter, malgrado il budget notevole, il cast prestigioso e il buon gusto dispiegato nella produzione il film non decolla e “sembra non avere anima, grinta o passione”.
In ogni caso, un film da vedere. Se amate il libro, vale la pena ricordare che la stessa Irène Némirovsky aveva pensato a “Suite francese” in termini cinematografici. Nei suoi appunti, presi poco prima della deportazione, si preoccupa a più riprese del ritmo (“in senso cinematografico”) del romanzo. “Se conoscessi meglio la musica, credo che questo potrebbe aiutarmi. In mancanza della musica, quello che al cinema si chiama ritmo. Insomma, preoccuparsi da una parte della varietà e dall’altra dell’armonia. Nel cinema un film deve avere una unità, un tono, uno stile”.
Se invece non sapete nulla né di Irène Némirovsky né del suo “Suite francese”, prima di andare al cinema date almeno un’occhiata on line. E’ la loro storia, così drammatica e sorprendente, a illuminare il film di una luce unica e speciale.
Daniela Gross
(12 marzo 2015)