Genocidio culturale

Francesco Moisés BassanoUn “genocidio culturale”, con queste parole l’Unesco ha condannato la devastazione del patrimonio culturale in territorio iracheno e siriano da parte dell’Is. Il museo archeologico di Mosul, la città assira di Nimrud, la città seleucide di Hatra, ma anche chiese nestoriane, moschee millenarie – come la moschea del profeta Yunus, sempre a Mosul – , mausolei e biblioteche. Esse sono purtroppo una piccola parte di quell’eredità che sta scomparendo definitivamente in quella che era la culla delle civiltà mesopotamiche, una ricchezza appartenente di diritto alle popolazioni locali e alla loro identità culturale, così come all’umanità intera.
La distruzione di opere e monumenti non è una novità nella storia del radicalismo islamico, i talebani distrussero le statue del Buddha di Bamiyan in Afghanistan, gruppi integralisti durante la guerra civile d’Algeria danneggiavano i marabut nelle campagne, e ugualmente Ansar Dine nel 2012 ha distrutto parte del patrimonio artistico di Timbuctù e Gao, in Mali, come vari santuari e mausolei di santi Sufi. Il tutto si potrebbe spiegare con l’aniconismo e il ripudio del culto idolatrico, con l’intolleranza dell’Islam globale verso il culto dei santi dell’Islam rurale e tribale del “Bilād as-siba” per quanto riguarda l’Africa, oppure si potrebbero riprendere le parole dell’antropologo Ugo Fabietti quando scrive che “il fondamentalismo tradizionalista rifiuta il collegamento con un passato (la storia) che non sia direttamente riconducibile al fattore religioso”… ma neanche ciò può bastare per comprendere questa incommensurabile idiozia.
Solo un disperato grido di “Cessate d’uccider [anche] i morti, […] Hanno l’impercettibile sussurro, Non fanno più rumore. Del crescere dell’erba, Lieta dove non passa l’uomo.“ (G. Ungaretti).

Francesco Moises Bassano

(13 marzo 2015)