Periscopio – Alternative
L’inatteso recupero del partito di Netanyahu nelle elezioni israeliane e il deludente risultato raccolto dai suoi antagonisti non significa, a mio avviso, un entusiasmo dell’opinione pubblica nei confronti del governo uscente, ma, più modestamente, una mancanza di fiducia nell’esistenza di reali alternative effettivamente praticabili. Il desiderio di cambiamento c’era ma c’era anche la paura del cambiamento, la paura che Israele potesse venire spinto verso strade più rischiose. Tra le due cose, desiderio di novità e diffidenza, ha prevalso la seconda.
Ma è evidente che, al di là del loro esito, le elezioni rappresentano sempre un evento di rilievo di per sé, per il solo fatto che si sono svolte, per il modo in cui si sono celebrate.
Gli analisti si sono soffermati a lungo sulle persone e le parole dei vari candidati, sorvolando in genere sul fatto che, per me, è il più importante di tutti. L’anomalia della situazione mediorientale è data proprio dal fatto che c’è un Paese, e uno solo, nel quale si svolgono periodicamente le elezioni più libere del mondo, frutto di un confronto di idee intenso, serrato, aspro, nel quale tutti possono dire e ascoltare tutto di tutti.
Un Paese nel quale chi vince non diventa il padrone di nulla, e chi perde non ha niente da temere. Mentre, al di là dei confini di questo piccolo Paese, non è proprio la stessa cosa.
Sarà certamente molto importante sapere se Netanyahu sarà confermato alla guida dell’esecutivo, e con quali alleanze e programmi governerà. Ma anche l’opposizione, come sempre in Israele, e in ogni democrazia che si rispetti, sarà chiamata a un compito essenziale. E non c’è dubbio che, di fronte a scelte decisive per la sicurezza e il futuro della nazione, nessuno potrà prendere decisioni che non rispecchino sentimenti ampiamente diffusi e radicati nella popolazione.
Ogni rappresentazione di risultati elettorali tende sempre a dare un quadro semplificato della situazione come se la cittadinanza fosse nettamente divisa in blocchi ben distinti, chiusi nei recinti di precise percentuali: tanto per cento a destra, tanto al centro, tanto ai religiosi ecc.
Ma tutti sappiamo bene che in realtà non è così. Le divisioni, in Israele, non attraversano solo la popolazione, ma anche l’animo di ogni singolo cittadino. Un elettore di sinistra, per esempio, è forse disinteressato alle esigenze di sicurezza sottolineate dalla destra? Un elettore di destra è forse insensibile alle speranze di pace di un elettore di sinistra? E un laico disconosce il ruolo della religione nell’identità israeliana?
Sono convinto del fatto che gli israeliani apparentemente divisi da forti contrapposizioni politiche e ideologiche, abbiano in realtà, nella grande maggioranza, una forte sintonia di fondo su tutti i temi di maggiore rilevanza per la vita del Paese, molto più di quanto non accada, per esempio, in Italia, dove le divisioni politiche sembrano riflettere spesso delle profonde differenze anche sul piano umano e culturale.
La bandiera italiana unisce, o dovrebbe unire, ma penso che la sua forza simbolica sia meno forte di quella esercitata dalla bandiera di Israele.
Certo, quando un cittadino israeliano, al pari di un italiano, recandosi al lavoro, incrocia la bandiera esposta su un balcone o sul un edificio pubblico non si ferma ogni volta per porgere un saluto.
Ma, fin da bambino, sa benissimo cosa quel vessillo rappresenta per lui per e per i suoi figli. Ed è qualcosa di molto diverso, di molto di più di quello che il tricolore può rappresentare per un cittadino italiano. Un italiano sa che quei colori simboleggiano la storia e l’unità del Paese, e li onora – se lo fa – per questo. Ma non ritiene di dovere ad essi la propria esistenza. Sa che i propri antenati, per secoli, hanno vissuto nella sua città o in altre località d’Italia, sotto altre bandiere, e che non è sempre stata una storia di dolore, asservimento, morte o persecuzioni.
E può darsi che il suo essere, per esempio, siciliano, o emiliano o lombardo assuma, per lui, un significato maggiore del suo essere italiano. Sa, inoltre, che in qualsiasi momento può valicare la frontiera, con la semplice carta d’identità in tasca, per trovarsi comunque, dovunque vada, non tra nemici. E, soprattutto, sa che nessuno vorrebbe vedere sparire quel simbolo dalla terra, non vede bruciare quella bandiera, così spesso, per mano di folle inferocite.
Il significato della bandiera bianca e azzurra, per un cittadino d’Israele, è molto diverso. E tutti coloro che ieri hanno votato, che si considerino oggi vincitori o sconfitti in queste elezioni, lo sanno.
Sanno che c’è un destino comune che, nel bene e nel male, al di là di ogni appartenenza e idea politica, li unisce. Tutti, col loro voto, hanno cercare di rafforzare un determinato partito, tanti partiti diversi. Ma tutti, quelli che hanno vinto e quelli che hanno perso, hanno rafforzato la medesima bandiera. E a tutti, nell’identica misura, vanno i nostri auguri e il nostro ringraziamento.
Francesco Lucrezi, storico
(18 marzo 2015)