Tunisi – “Mamma e papà, salvi per miracolo”
I primi spari, le prime urla, il sangue. La prontezza di spirito di allontanarsi dall’edificio prima che la situazione diventasse irreparabile. Si sono salvati così Alberto e Anna Di Porto, rispettivamente 71 e 60 anni, la coppia di ebrei romani scampata all’attacco condotto dall’Isis nel museo Bardo di Tunisi in cui hanno perso la vita almeno quattro connazionali e che è stato definito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella “un gesto vile e odioso, commesso ai danni di persone inermi, in spregio alle più elementari norme di convivenza civile e rispetto della vita umana”.
Messa in circolazione fra i giornalisti da ambienti comunitari romani, la presenza dei coniugi Di Porto tra quanti sono riusciti a uscire illesi dal museo ha fatto rapidamente il giro della rete e fatto sì che le loro identità, e quelle dei loro familiari, fossero presto svelate.
Mantenendo l’anonimato dell’interlocutrice, e soltanto dopo che il portavoce della comunità della Capitale aveva segnalato alle agenzie di stampa il salvataggio della coppia, la redazione del portale dell’ebraismo italiano www.moked.it e di Pagine Ebraiche aveva invece raccolto dai familiari alcune impressioni a caldo. “Con mia madre sono riuscita a parlare poco fa, è al sicuro in un bunker. Mio padre si è ferito nei soccorsi e adesso è in ospedale. Non vedo l’ora che tornino in Italia per riabbracciarli. Mi auguro oggi stesso” ci è stato detto dalla figlia dei coniugi Di Porto.
Per tutelare al massimo la sicurezza delle persone coinvolte e garantire il più sereno rientro a casa delle vittime dell’azione terroristica la redazione aveva scelto di mantenere il riserbo anche sull’identità di uno dei figli della coppia, il rabbino capo di Torino Ariel Di Porto, che è stata poi però anch’essa in ogni caso fatta trapelare alle redazioni dei giornali.
Dall’ospedale di Tunisi in cui è ricoverato per accertamenti cardiaci, Alberto Di Porto ha intanto così descritto quei minuti: “Mia moglie era rimasta molto colpita dai fatti di Parigi. Quando abbiamo sentito le prime raffiche, seguite dall’esplosione di una granata, mi sono affacciato dalle scale e ho visto della gente vestita da poliziotti che avanzava sparando sulle persone della mia comitiva, che erano appena entrate con me nel museo. Io non ci stavo capendo niente. Lei, che invece non aveva visto nulla, mi ha subito guardato e detto: ‘Qui sta succedendo qualcosa di terribile. Dobbiamo metterci al riparo, come hanno fatto a Parigi gli ostaggi che si trovavano nel negozio ebraico di alimentari’”.
a.s twitter @asmulevichmoked
(19 marzo 2015)