…ebraismo

Sono certo che una delle trasmissioni radiofoniche che verranno coinvolte nella riforma della Rai sarà il breve appuntamento serale in onda la sera su Rai1 e intitolato “Ascolta, si fa sera”. Si tratta di tre minuti e mezzo (una volta erano cinque) in cui si alternano quattro preti cattolici, un pastore evangelico e un rabbino a proporre riflessioni sul presente prendendo le mosse da una prospettiva religiosa. È dal 1970 che ogni settimana un rabbino ha la possibilità di rivolgersi a un pubblico molto ampio e diverso da quello ristretto delle piccole comunità ebraiche. Negli anni si sono alternate voci storiche; molte delle trasmissioni sono archiviate e dal 2011 ascoltabili in rete.
Dal 1970 però la nostra società è profondamente cambiata, mentre la trasmissione mi sembra che attualmente soffra di alcuni punti deboli che rischiano di farla diventare superflua, il che sarebbe un peccato. Una volta bastava solamente sentire le parole dello speaker: “Ascolta, si fa sera, vi parla il rabbino capo della comunità israelitica di Roma Elio Toaff” e tutto si fermava. Improvvisamente, per pochi minuti, la comunità ebraica parlava con una voce a tutti gli italiani dal principale canale radiofonico nazionale, e gli ebrei italiani che sentivano questa voce si sentivano un po’ meno invisibili. Bastava questo, e non importava se si presentava la festa di Purìm o se si parlava di uno dei profeti. Oggi è tutto diverso: le religioni sono al centro delle trasformazioni della società contemporanea e il loro ruolo nel panorama della comunicazione si è straordinariamente accresciuto (ne è testimonianza anche questa newsletter, molto diffusa e seguita). A questa trasformazione, tuttavia, non ha fatto seguito una maturazione e una programmazione aggiornata del breve angolo di riflessione radiofonica proposto dal palinsesto Rai. Sul versante ebraico si tratta a mio giudizio di ripensare interamente alle modalità di partecipazione al programma. Innanzitutto va capito un concetto basilare: il pubblico della trasmissione non è una comunità ebraica ma l’insieme degli utenti radiofonici, cioè potenzialmente tutti gli italiani. Quello che si richiede quindi non è una riflessione proposta nell’ottica della normale e quotidiana lezione di Torah, ma un diverso modello di comunicazione. L’ascoltatore non sa cos’è un rabbino (per i più “il prete degli ebrei”), ed è poco interessato alla conoscenza delle fonti. Più importante sarebbe proporre un lemmario, un elenco di concetti su cui proporre una riflessione dal punto di vista ebraico. Bisognerebbe insomma mettere in pratica un progetto di comunicazione di ampio respiro, che renda quell’appuntamento interessante dal punto di vista ebraico e utile per trasmettere al pubblico italiano una conoscenza meno superficiale del mondo ebraico. Lo ha fatto con successo il rabbino Adin Steinsaltz in un delizioso libriccino di qualche anno fa, “Parole semplici. Riflessioni intorno a ciò che conta veramente nella vita” (UTET, 2007), in cui proponeva riflessioni su concetti quali parole, natura, bene, spirito e materia, fede, buone azioni, sesso e così via. Ma lo aveva già capito Augusto Segre nel 1970 (ma guarda un po’ la coincidenza!) quando raccoglieva alcuni scritti di Dante Lattes nel libro “Aspetti e problemi dell’ebraismo” (Borla, 1970) in cui si proponeva un altro interessante elenco di concetti su cui riflettere: il libero arbitrio, la santità, il miracolo, la povertà, la carità, il lavoro, la libertà e via dicendo. Per giocare con le parole: a questo programma manca un programma. Io credo che chi ne è responsabile debba riflettere su questo, trasformando quella che attualmente mi sembra un’occasione perduta in un nuovo modo di presentare al grande pubblico una visione ebraica della realtà dell’uomo contemporaneo.

Gadi Luzzato Voghera, storico

(20 marzo 2015)