Un saluto a Beppe Segre, il presidente della misura
Tanti leader ebraici italiani e primi fra tutti i presidenti delle Comunità meritano ammirazione per la dedizione che dimostrano nell’affrontare da volontari, con generosità e dedizione, situazioni spesso difficilissime. Quando viene per loro il momento di lasciare l’incarico, meriterebbero un grande ringraziamento per quanto sono stati capaci di donare.
Nel caso di Giuseppe, Beppe, Segre, che ha appena lasciato la guida della Comunità di Torino dopo averla pazientemente condotta nel corso di un mandato molto difficile, sento però il bisogno di farmi interprete di un ringraziamento e di un saluto speciale. Non sta certo a questa redazione giornalistica valutare l’efficacia del suo operato, ma un grazie sentito e una testimonianza umana dello scarno e cortese dialogo che abbiamo intrattenuto credo sia dovuta. Lo faccio volentieri, perché so che Beppe Segre continuerà, come molti signori del Piemonte e come moltissimi altri suoi concittadini che lo hanno preceduto, a vivere la vita comunitaria con passione, ma senza alzare la voce. Che sarà uscito dalla presidenza in silenzio e senza congratularsi con se stesso. La Mishna Avot insegna chiaramente che i veri forti non fanno chiasso. Nel modo di intendere la vita ebraica in cui credo, chi lavora disinteressatamente per unire, per tenere assieme, anche in tempi di grandi lacerazioni, l’ebraismo italiano, compie un’opera coraggiosa e meritoria. Chi lo fa agendo in silenzio, senza cadere in un vortice di vanterie ed espressioni roboanti, poi, offre ancora di più: un esempio di misura, una lezione di stile che non è solo formalismo. Lascia, insomma, un segno di fiducia per il bene.
g.v.
(25 marzo 2015)