Magazzino 18

tzeviSe c’è un luogo della memoria dimenticata, in Italia, è il magazzino 18 del Porto antico di Trieste. Vi sono conservate le “povere cose” degli esuli italiani da Istria e Dalmazia, custodite da settanta anni. Immaginate pile di tavoli, sedie, armadi, uno sopra l’altro per centinaia di metri. Il contenuto delle case abbandonate dai profughi dispersi in decine di campi in tutta Italia (tra cui, ironia della storia, Fossoli e la Risiera di San Saba). Con la sciatteria perfida della burocrazia, il magazzino è stato rinumerato da pochi anni (era il 26) e gli oggetti, che prima erano divisi per famiglia, ora sono sistemati per tipologia, rendendo impossibile il riconoscimento e l’eventuale recupero da parte dei discendenti. Povere cose, dicevamo, ma dall’inestimabile valore affettivo.
Ho scoperto questo luogo grazie all’omonimo spettacolo di Simone Cristicchi, che ho avuto la fortuna di vedere domenica scorsa. Il cantautore romano si muove su un registro sobrio, alternando il racconto dei fatti alle canzoni sue, degli esuli, a quelle del grande Sergio Endrigo, uno dei fuggitivi: “Da quella volta non ti ho trovato più / Strada fiorita della gioventù / Come vorrei essere un albero che sa / Dove nasce e dove morirà”. E mostra come l’arte sia spesso il modo migliore per spiegare, raccontare, divulgare una storia complessa, drammatica, sconosciuta e misconosciuta. Com’è noto, la tragedia degli esuli e vittime italiane in Istria e Dalmazia fu presa in ostaggio dalla destra e rifiutata ciecamente dalla sinistra comunista (da leggere a tal proposito gli articoli de “l’Unità” all’epoca).
Immaginate persone caricate su carri bestiame che, entrando nella stazione di Bologna, anziché trovare accoglienza scoprirono ad attenderli manifestanti con bandiere rosse che insultavano i “fascisti”. Nessuno nega, peraltro, la necessità di indagare i crimini fascisti nei territori italiani oltre Trieste, quelli dell’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia, le complicità della popolazione civile. E in questa vicenda drammatica e dimenticata – sanata recentemente dalla Giornata del Ricordo – si innesta una micro-vicenda dai tratti surreali: la storia degli ebrei italiani di Fiume, privati della cittadinanza in seguito alle leggi razziali, deportati dai nazisti nei campi di sterminio e infine costretti all’esilio in quanto italiani. Una storia recentemente tornata alla ribalta per via del dibattito storico su Giovanni Palatucci, l’ufficiale di Polizia “Giusto tra le Nazioni”, la cui attività meritoria viene oggi messa in discussione da autorevoli centri di ricerca.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(31 marzo 2015)