Storie – La filosofia di Primo Levi‎

avaglianoPoeta, testimone, letterato. E anche un po’ filosofo. È l’inedito Primo Levi ritratto da Raffaella Di Castro nella conferenza tenuta la scorsa settimana a Roma nell’ambito di un ciclo di incontri sul dialogo tra filosofia e letteratura, dal mondo antico al Novecento, organizzato dalla stessa libreria insieme all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee – Cnr, e intitolata “Primo Levi. L’arte di un ‘testimone integrale’”.
La Di Castro ricorda che Levi nelle sue numerose interviste dichiarava esplicitamente di non amare la filosofia oppure manifestava fastidio quando gli venivano rivolte delle domande troppo filosofiche, cioè troppo generiche, astratte. Ma ciò nonostante “i suoi testi hanno uno spessore filosofico: pongono quesiti e riflessioni che sono interessanti per la filosofia, e hanno essi stessi un modo di argomentare che è filosofico. Non una filosofia in senso specialistico, tecnico, che usa un certo linguaggio, e certamente non una filosofia astratta e generica – ma è questa la filosofia? – ma un pensare concreto, quasi artigianale, un riflettere sull’esperienza dall’interno dell’esperienza, e ancor più tragicamente, da dentro la negazione dell’esperienza (il lager), un pensare da chimico se non da alchimista, che maneggia le cose, le analizza fin nei dettagli, ma ne cerca pur sempre le proprietà universali”.
La valenza filosofica del pensiero di Levi, ci invita a riflettere la Di Castro, non è da rintracciare solo nelle sue opere saggistiche, in particolare I sommersi e i salvati, ma “nella sua stessa scrittura letteraria, nella sua stessa arte”. Facendo i conti col fatto che ancora oggi spesso “l’aura del testimone, ma forse anche alcune tendenze retoriche della memoria istituzionalizzata di questi ultimi anni, nelle quali alcune frasi di Levi sono ripetute in modo decontestualizzato e retorico, come preghiere o mantra, finisce per fare ombra sul valore della sua arte”.

Mario Avagliano‎

(31 marzo 2015)