J-Ciak – Il campione in America
“Rischieresti la vita per salvare uno sconosciuto? E poi non ne parleresti mai?”. E’ il promo con cui arriva nelle sale americane la bella storia di Gino Bartali, campione nello sport come nella vita. A raccontarla è “My Italian Secret: The Forgotten Heroes” di Oren Jacoby, già presentato a Roma lo scorso autunno, che racconta l’impegno di quegli italiani che, come il campionissimo, si spesero per salvare gli ebrei dalle persecuzioni nazifasciste. Attraverso testimonianze e interviste a testimoni dell’epoca e la voce narrante di Isabella Rossellini, emergono storie di altruismo e abnegazione e s’illumina un tratto della storia ebraica italiana che negli Stati Uniti è ancora poco conosciuta.
La figura più toccante, in “My Italian Secret”, è quella di Bartali, uno degli idoli del tempo, che il regista paragona a un incrocio fra Babe Ruth e Clark Gable. Il campione nascose una famiglia ebraica in una casa di sua proprietà e, fingendo di allenarsi, a lungo consegnò falsi documenti e carte per conto della rete clandestina di salvataggio messa in piedi dal rabbino di Firenze Nathan Cassuto e dall’arcivescovo di Firenze Elia Angelo Dalla Costa.
Rischiò la vita per salvare persone sconosciute e, come ricorda la promozione del film, non raccontò mai quanto aveva fatto. Tanto che il suo ruolo è emerso solo pochi anni fa, grazie a Pagine Ebraiche che ha fornito una serie di rivelazioni inedite. Prima fra tutte quella di Giorgio Goldenberg, ebreo fiumano, che raccontò al collega Adam Smulevich di essere stato nascosto in un appartamento di proprietà del campionissimo in via del Bandino a Firenze.
Grazie a questa e ad altre testimonianze, nel 2013 Gino Bartali è stato proclamato da Yad Vashem Giusto fra le Nazioni, onore che già era stato tributato a Giovanni Borromeo, protagonista di un’altra delle storie proposte nel film. Borromeo, medico romano, si sarebbe inventato un contagioso “Morbo di K” per evitare che i nazisti si avvicinassero agli ebrei ricoverati nell’ospedale sull’Isola Tiberina per proteggerli dall’arresto e dalla deportazione.
Il documentario, che intercala foto d’epoca, drammatizzazioni del passato, mappe e documenti, ha un’andatura classica. Ma, nota Ben Kenigsberg sul New York Times, pur fornendo “un quadro ragionevole sulla storia complicata d’Italia con l’Olocausto e la resistenza italiana”, il regista non riesce a imprimere al film “un’organizzazione strutturale o cronologica”. “La presentazione aneddotica – conclude – talvolta sembra più adatta alla proiezione all’interno di un museo che a una sala cinematografica”.
L’antisemitismo non è un tema nuovo, per il regista Oren Jacoby. Il corto che gli è valso una nomination all’Oscar, “Sister Rose’s Passion” (2005), parlava di una suora domenicana che aveva dedicato la vita a combatterlo. Il film “Costantine’s Sword” (2008), tratto dall’omonimo e discusso libro di James Carroll (2001) che tracciava una linea continua fra l’antigiudaismo della Chiesa e lo sterminio nazista, ne parlava invece in un continuo contrappunto fra storia e attualità.
Quanto a “My Italian Secret”, rischia di cadere nella contrapposizione tra buoni italiani e nazisti cattivi, quasi a mostrare che la persecuzione antiebraica è un germe estraneo alla storia italiana. D’altronde l’intento del film è dichiarato. Il lavoro è stato prodotto dalla Italy and the Holocaust Foundation di New York, presieduta da Joseph Perella, presidente e amministratore delegato di Perella Weinberg Partners (società di servizi finanziari) ed ex vicepresidente di Morgan Stanley.
Di origini italiane, Perella con la sua Fondazione, nata nel 2010, è impegnato a condividere “la storia poco nota del ruolo svolto dall’Italia e da molti italiani nel salvare circa l’80 per cento degli ebrei in Italia durante l’Olocausto”. Obiettivo, educare le nuove generazioni “al fatto che, se le persone non sono indifferenti, le cose possono essere diverse”.
L’idea del film, come lui stesso ha raccontato al Sole 24 ore, gli è venuta “dopo aver letto un articolo del Wall Street Journal nel 1993 in cui si parlava dei migliaia di “Schindler italiani”, che avevano nascosto e salvato gli ebrei”. “Da italo-americano ho pensato fosse necessario raccontare questi eroi prima che non ci fossero più testimoni”. Fra i prossimi progetti della Fondazione, di recente Joseph Perella annunciava l’avvio delle prime riprese di un documentario su Giovanni Palatucci. Tutti conoscono Schindler, diceva, nessuno conosce “lo Schindler italiano”. Chissà che ne sarà del progetto, alla luce delle recenti polemiche sul questore di Fiume. Ma parlare degli “Schindler italiani” oggi pare sia in voga, se si ricorda che di recente anche la regista Liana Marabini definiva così Pio XII, protagonista del suo contestatissimo “Shades of Truth”.
Daniela Gross
(2 aprile 2015)