Pesach 5775 – Al ritmo delle piaghe d’Egitto
Mentre come avviene ormai a ogni festività ebraica i Maccabeats invadono il web ballando e facendo smorfie mentre cantano a cappella rifacimenti a tema di canzoni pop, chi in questi giorni cerca qualcosa di più originale da allegare ai suoi auguri può invece scegliere tra uno dei dieci video pubblicati da Nina Paley. L’artista statunitense ha creato un brevissimo cartone animato musicale per ognuna delle piaghe d’Egitto, ma in realtà questi sono frammenti di un progetto più ambizioso e andranno a comporre una soltanto delle scene di un unico lungometraggio sulla storia di Pesach.
“Devo ancora creare tutto il resto del film, dovrei metterci circa tre anni”, ha affermato Paley, che ha intitolato l’opera Seder Masochism e ha pubblicato i video delle dieci piaghe come trailer. Ognuno di essi costituisce una sorta di micro musical, in cui personaggi animati in due dimensioni cantano e si muovono a ritmo di canzoni dei più vari generi musicali, perfettamente abbinate. Nel video della prima piaga, l’acqua del Nilo trasformata in sangue, la voce profonda del faraone intona un brano intitolato Blood Red River Blues, composto da Josh White negli anni ’30. Sempre mantenendo l’impeccabile posizione di profilo da dipinto egizio, si scatena invece in una coreografia su musica dance anni ’80 cantando “Quegli insetti mi fanno ballare!” nei filmati che descrivono le piaghe dei pidocchi e delle locuste. Sono invece rap i saltelli delle rane, molto punk la mortalità degli animali, e decisamente pop l’oscurità, nel cui video il faraone canta Who Turned Out The Light On My Life di Daniel Boone. Ma il brano più celebre è sicuramente Helter Skelter dei Beatles, scelto per rappresentare la piaga dell’ulcera. Più vintage invece l’atmosfera della grandine, in cui gli egizi si muovono a ritmo di Hail, Hail, The Gang’s All Here, scritta dal compositore Nathaniel Shilkret nel 1917.
Spirito ben diverso rispetto agli altri filmati, che si contraddistinguono tutti per una certa allegria data vuoi dalla selezione delle canzoni e dai movimenti a ritmo dei personaggi ballerini, vuoi dai colori vivaci, è invece quello del video che descrive la morte dei primogeniti, il più lungo di tutti. Un angelo della morte stilizzato intona un brano della band pop funk The Duke of Uke and His Novelty Orchestra, che Paley conosce personalmente, intitolato Spider Suite, mentre esseri viventi di ogni genere scompaiono, dando vita a un’atmosfera cupa nei colori e nella lentezza dei movimenti e trasmettendo un senso di angoscia che rende profondamente l’idea della sofferenza legata alle piaghe.
I disegni in due dimensioni dai colori accesi e dalle scenografie affollate sono tipici dello stile di Paley. “Sebbene fossi un’illustratrice molto prima di diventare un’animatrice, trovo disegnare i personaggi e le scenografie la parte più difficile. Occupa sempre molto più tempo di quanto dovrebbe. Una volta che ho disegnato tutti i pezzi, è divertente farli muovere, trovo il ritmo della musica e li animo”, così l’artista spiega il suo processo creativo.
Nina Paley definisce se stessa come ‘la vignettista (s)conosciuta più amata d’America’, come scrive sul suo blog. Dove ha anche pubblicato una sua biografia, in cui la sua brillante carriera professionale all’insegna della lotta contro il copyright s’intreccia con le sue vicende personali che racconta come a una amica. Ebrea, nata in Illinois nel 1968, a vent’anni si è trasferita in California per “realizzare l’ingenuo sogno di diventare una hippie new-age”. Invece è diventata “una cinica vignettista”, che ha pubblicato vari fumetti e vari cartoni animati, l’ultimo dei quali s’intitola Sita Sings the Blues in cui le canzoni della cantante jazz Annette Hanshaw, la storia di Nina e il poema epico indiano Ramayana si sono uniti. In India Nina ha vissuto, trasferitasi per il lavoro del marito che però l’ha poi “scaricata via email”. Così lei è andata a vivere a Brooklyn dove ora si dedica alla sua colorata carriera. E di questa sua ultima fatica ancora in corso d’opera ha detto: “Si tratta solo della mia interpretazione di una storia che costituisce le fondamenta della cultura occidentale”.
Francesca Matalon
(2 aprile 2015)