Periscopio – L’Iran e la bomba
La conclusione dell’accordo sul nucleare iraniano non può non generare un senso di profonda inquietudine, ansia e preoccupazione per il futuro, che si presenta decisamente gravido di pesanti, forse mortali pericoli.
Francamente, non ho mai nutrito alcuna seria speranza riguardo all’effettiva possibilità di fermare, tramite un accordo diplomatico, la corsa iraniana al nucleare, per il semplice motivo che il progresso tecnologico è inarrestabile, e i risultati della scienza non possono essere tenuti segreti a nessuno. Non capisco nulla di tecnologia atomica, ma so che al giorno d’oggi qualsiasi prodotto della tecnica è alla portata di chiunque disponga delle risorse necessarie per ottenerlo, acquistando i materiali, costruendo gli impianti, pagando gli scienziati e i tecnici ecc. Quello che conta è esclusivamente il potere economico a disposizione, utile a procurarsi quanto necessario. L’America, quando fu aggredita dal Giappone, era inferiore militarmente, ma aveva una forza economica molto superiore, che le permise in poco tempo di ribaltare la situazione, e la Germania, in ginocchio e disarmata dopo la Grande Guerra, divenne in pochi anni la prima potenza militare del mondo. Anche ammesso – cosa molto dubbia – che i controlli tengano lontano l’Iran da una tecnologia nucleare a scopi militari, è un dato di fatto incontrovertibile che la fine delle sanzioni renderà la già potente Repubblica islamica molto più forte, ricca e influente a livello mondiale. Quanto ci metterà, domani, questa grande potenza, stracciati tutti gli accordi, a dotarsi di bombe atomiche? Chi mai oserà impedirglielo? Ciò che è sembrato difficile oggi, sarà impossibile domani. E se avrà – anzi: quando avrà – la bomba, perché non dovrebbe usarla? Mohammad Reza Naqdi, comandante della milizia religiosa volontaria Basij, inquadrata nelle Guardie Rivoluzionarie iraniane, ha appena ribadito, se qualcuno si ostinasse a non volere capire, che “la cancellazione di Israele dalla carta geografica non è negoziabile”, e che “i sionisti dovrebbero sapere che la prossima guerra non sarà limitata ai confini attuali e che i Mujaheddin li respingeranno in mare”. E quella di Naqdi non è certo una voce isolata, è questa la posizione ufficiale di Teheran. E se si vuole davvero distruggere un Paese, perché non usare il metodo più rapido, facile ed economico? Qualcuno taglierebbe mai un albero con un temperino, avendo a disposizione una sega elettrica? Perché mai l’Iran, un domani, dovrebbe perseguire i suoi obiettivi attraverso una guerra convenzionale, potendolo fare in modi tanto più diretti ed efficaci? I vincoli, si legge, dureranno vent’anni. Molti, pochi? Mi metto nei panni di una giovane coppia israeliana, che abbia appena avuto un figlio. Cosa proveranno nel pensare che per vent’anni dovrebbe essere, in teoria, relativamente al sicuro e, dopo, chi sa?
L’idea, ripetuta da diversi commentatori, secondo cui il ritorno dell’Iran nella comunità delle nazioni dovrebbe favorirne un’evoluzione moderata, e il maggior sviluppo economico dovrebbe invogliare la popolazione e i governanti a volgere la loro attenzione verso attività pacifiche, benessere e ricchezza, appare una pia illusione, un ingenuo “wishful thinking”. Nulla, ma proprio nulla, va finora in questa direzione, tutto, ma proprio tutto, va in senso contrario.
La richiesta, avanzata da Israele, che nell’accordo fosse almeno inserito l’impegno dell’Iran a rinunciare a disegni distruttivi verso altre nazioni, è stata ovviamente disattesa, con la motivazione che altrimenti nessun accordo sarebbe stato possibile. Già, perché rovinarsi la festa? Intendiamoci, è ovvio che un impegno del genere, imposto dall’esterno, non avrebbe avuto più valore della carta su cui fosse stato scritto, e che gli ayatollah se ne sarebbero fatto un baffo. Ma almeno, per quel che conta, nei libri di storia, un domani, si sarebbe letto che “il resto del mondo” non condivideva l’idea di un nuovo Olocausto. Invece, comunque vada, in quei libri non si leggerà proprio nulla.
Nota a margine: al problema del nucleare iraniano dovrebbero essere interessati, indirettamente, anche gli innumerevoli comitati pro-Palestina, perché una bomba atomica su Tel Aviv o Gerusalemme non sarebbe salutare neanche per gli abitanti di Nablus o Ramallah. Eppure, mi sembra che il tema non li appassioni. Strano.
Francesco Lucrezi, storico
(8 aprile 2015)