Nugae – Sguardi d’intesa

matalonQuando ho iniziato a tenere una rubrica, mi sono ripromessa – oltre che di mantenere sempre una parvenza di brevitas, folle impresa – che non avrebbe parlato di me. A chi interessa cosa pensa o fa una ventenne smarrita, mi dicevo rassicurandomi che essere pusillanime in questo caso fosse una forma di saggezza. Non che abbia mai ceduto, ma riscorrendo in uno slancio nostalgico le Nugae degli ultimi due anni e mezzo mi sono accorta che mentre riversavo sull’umanità una pioggia di lustrini e perle di saggezza antica ho parlato più di me stessa di quanto abbia mai fatto Woody Allen in tutte le sessioni di psicoterapia dei suoi film. Per esempio, si vede chiaramente che lo considero un mio riferimento culturale, insieme a Catullo, Michael Boublé e i Peanuts, e non trovo tutto ciò terrificante. E in generale sono venute fuori tutte le mie ossessioni, come quella malsana per gli oggetti kitsch, quella consumistica soprattutto per gli articoli di cartoleria, quella chic di Parigi. Sono emersi tutti i miei difetti: sono ridicolmente ipocondriaca e esageratamente procrastinatrice, mi manca il dono della sintesi, ho qualche problema con ogni cosa che richieda coordinazione cervello-arti sia essa sport, una qualsivoglia forma artistica, o anche solo camminare su un marciapiede senza inciampare, nonché con i numeri, i poveri bambini che infatti mi lanciano sguardi torvi, e i capelli crespi. Ma ho rovesciato tra queste righe anche tutto quello che amo: le tisane, Calvino e Queneau, i cani e il mio cagnone nero, i libri, i musical e i romanzi rosa e tutto quello che contiene melodramma in forma esagerata, intraprendere battaglie tipo quella ecologica sulle bottiglie di plastica o quella che ha sorpreso anche me del femminismo, le serie tv di nicchia, Vanity Fair e le vanità in generale, la linguistica, gli Abba. Ho capito di voler appartenere a un’altra epoca, in cui si balla il tiptap, si indossano gioielli pieni di brillantini, si scrive a mano e si leggono poesie, e non ci sono cose che si chiamano startup e computer che congiurano contro di me. E si è visto che leggo compulsivamente il New Yorker e libri di Claudio Magris per sembrare anch’io una degli intellettuali di cui ho tanto timore reverenziale, ma in fondo non disdegno la televisione spazzatura. E in questa, ebbene sì, ultima domenica, si scopre in fondo che anche io sono succube del fascino della prima persona. Quello che per certo ho imparato è che evidentemente scrivere non permette di nascondersi, né agli altri né a se stessi. E in giornate come queste in cui tutto cambia, è un gran conforto sapere che, anche se adesso le facezie e il mio egocentrismo timido si celeranno dietro titoli più seri e meno latineggianti, i lettori e io continueremo come sempre a scambiarci teneri occhiolini.

Francesca Matalon

(12 aprile 2015)